mercoledì, luglio 30, 2008

Ancora Muffe

Allungati un po' di più

E non respirare

O l'odore morto

Della cenere volata sui tappetini

Ti farà ricordare

Che hai ancora un'ora per finire

Di lavare l'auto

E passare dal tabaccaio

Che le hai finite

Domenica pomeriggio

Senza partite

Perché oggi il figlio

Tocca a te.

E il rumore dell'aspirapolvere

Non basterà

A non farti pensare

Quanto ti è costato usare quel preservativo

Per quei 10 minuti nel campo

La cui confezione

Non vuole sfilarsi

Nonostante il tuo allungarti

Da dove il sedile scorre

Ormai a scatti sprecisi

tra le sue guide

ormai inutili

(Muffe, R. Buchago 2008)

giovedì, luglio 24, 2008

Racconti solubili #14

Io sembro uno con il Telepass, lei una da trasporto eccezionale che non passa dal casello.
E’ vecchia e lenta, le caviglie sono due panettoni antiparcheggio, faccio un ultimo scattino e la precedo sull’ingresso. Schiaccio subito il tasto giusto, quello dei pagamenti dei bollettini postali e mi allontano nell’androne delle Poste di Via Garibaldi.
Lei, la vecchia, sento che mi da del giovane maleducato con qualche spettatore involontario e poi inizia a chiedere aiuto su cosa deve schiacciare.
Ma io sono già seduto a guardare il tabellone luminoso. Ho il C184 e se leggo bene in alto dovrei avere una ventina di persona davanti a me.
Sono tante mentre le casse aperte sono solo 3.
Incomincia a prendermi una certa forma di ansia. Un’ansia strana, quasi più una forma di smania, il desiderio di vedere uscire sempre più numeri vicino al mio sul tabellone del codometro.
Il primo non mi gioca a favore, A123 sono quelli del bancoposta, son clienti pesanti questi: non è come spedire una busta o pagare un bollettino, dove ci sono di mezzo i propri soldi ci vuole più tempo. Chiedi sempre conferma “ma questo importo è corretto?”, “cosa vuol dire commissione lavorazioni esterne?”. E il tempo passa senza vedere cambiare il numero sul display a led rossi posto sopra alla cassa.
Guardo il signore in piedi, si è alzato dopo che ha visto H36 (per la cassa 6) lampeggiare dopo il segnale sonoro. Probabilmente ha il biglietto H37 o lì vicino. Cerca di capire quale sia il cliente più avanti nelle operazioni, il primo che finirà di essere servito e che lascerà quindi la cassa libera di ottenere un altro assegnamento. Un altro numero, eccolo alla cassa 8, ma è di nuovo un cliente banco posta A125. Il signore sbuffa e si mette a guardare l’orologio.
Ha fretta, mentre io vedo cominciare la mia rimonta
C170, C171 e C172 passano in un minuto, benedetti quelli che se ne vanno impazienti!
Mancano ancora 13 persone davanti e sono dentro da soli 10 minuti.
Sono euforico e aspetto il prossimo segnale, eccolo C173, niente bancoposta o spedizioni urgenti, sono nel cuore di chi o cosa gestisce la coda.
Poi di colpo una bella batosta e cado in preda alla delusione più nera: passano uno dietro l’altro, lenti come TIR in salita 5 codici che iniziano con la B. Arriva l’ultimo il B152 che ancora non ho capito bene cosa debbano fare quelli con questo tipo di codice.
Ma si riparte il mondo è un flipper colorato e ad ogni cicalare del suono che anticipa i numeri vedo la distanza con il mio C184 svanire. Sono esausto di gioia e trepidazione, mi alzo al C182 perché ormai sono tutto un bollore.
Sono mercurio vivo.
Guardo intorno le casse, quale sarà la mia?
Devo stare calmo, ma sono eccitato come un bambino al parco giochi, ancora pochi secondi e uscirà il mio numero.
Eccolo: C184.
Mi guardo attorno paonazzo, sono felice.
Ma la felicità è una cosa passeggera, passa subito.
Io però ho voglia di riprovarla, un’altra volta, ancora e poi ancora.
Faccio una pallottolina del cartellino con il numero e prendo la strada per l’uscita.
Mi busco un po’ di caldo qui fuori e poi mi rifiondo dentro a riprovarci.


(aM 14.2008)

venerdì, luglio 18, 2008

Quando incontri l'arte la saluti?

Ieri sera ho incontrato l'arte.
Aveva le fattezze di Davide Avogadro e sono pure riuscito a scambiarci 4 chiacchere.
Ma non ero interessato a Lei come persona, a essere sincero piuttosto normale - un banale stereotipo di artista, quanto alle sue opere.
C'erano esposte 6 o 7 sue opere di cui una in particolare mi ha impedito di starle vicino tranquillo: un'enorme faccia di donna su sfondo oro. Una donna dall'espressione tremendamente inquietante, sospesa tra noia, malinconia e rassegnazione.
L'ho guardata per tutta la sera, sorseggiando una birra e cacciando zanzare.
Se avessi abbastanza soldi la comprerei.
Davvero.

giovedì, luglio 10, 2008

Racconti Solubili # 13 (? Boh?)

L'importante è che scrivi. Butta giù una parola dopo l'altra e fregatene di tutte le voci.

Ogni cosa è inutile, a seconda di quale scopo scegli di perseguire  in quel momento. Quindi scrivi, che vedrai che ogni volta sarà sempre meglio. Non pensare a cosa serve. Come un muscolo rinvigorito, la scrittura ti costringe a spremere la tua essenza, a formare il pensiero e renderlo fisico. Certo questi led che si accendono per fare le lettere non sono poi tanto più fisici del pensiero, ma è già qualcosa.

Qualcosa che testimonia la tua presenza qui.

Ecco pensavo più o meno a queste cose, davanti al monitor del mio computer, quando hanno bussato alla porta. 

-       Ha per caso visto le mie tette?

-       Cosa?

-       Le ho chiesto se per caso ha visto le mie tette?

E' un tizio secco e dai capelli grigi, ma sulla 40ina, quello che dice di aver perso le tette. Tossicchia per schiarirsi la voce.

-       Scusi ma perché ha bussato qui?

-       Non lo so, ma sul piano nessun altro mi ha risposto.

-       Ascolti…

-       Be' ha visto per caso le mie tette?

-       Ascolti..non so proprio di cosa stia parlando.

Il tizio non da segni di pazzia apparente. Ha una cravatta blu con sopra il disegno di una mongolfiera. Sulla camicia ha una patacca di qualcosa che sembra gelato. Probabilmente un magnum al cioccolato bianco.

-       Si che lo sa..non hai mai visto delle tette?

-       Si..certo, ma questo non…

-       E allora vede che mi può aiutare?

-       Va bene, allora, mi dica come sono?

-       Sono tette gliel'ho detto.

-       Intendevo di che taglia? Di che forma? A pera, a melone, cadenti, insomma si fa presto a dire tette..

Il tizio mi fissa e si caccia in gola lo stecco di quanto rimasto del gelato. Lo succhia e poi se lo leva di nuovo. Mi punta addosso lo stecco e dice – lei mi sta prendendo in giro…

Per un attimo ho paura del suo sguardo che sembra per un istante caricarsi di rabbia. Allora cerco di giustificarmi:

-       No guardi, chiedevo solamente se…

Il tizio abbassa lo stecco del gelato.

-       Va bene, me ne vado..mi scusi per il disturbo..ma da quando ho perso le mie tette ho perso un po' la testa. Cioè, no. Si ok, ha capito che questo è solo un gioco di parole, perché la testa è ancora qui. Si, fa niente..mi scusi ancora.

Nello stesso momento in cui il suo sguardo passa da un accenno di rabbia a un misto di delusione e sconforto, si gira e se ne va.

Chiudo la porta, mentre lo vedo scendere ciondolando la rampa di scale.

Mi gratto il sedere e sposto le mutande che mi si sono infilate tra le chiappe.

Il computer ha attivato il salvaschermo: un susseguirsi di foto dei miei figli smette la sua sequenza di apparizione non appena tocco il mouse.

Riprendo da dov'ero rimasto. Scrivo "i", "l", e poi "tizio"…e poi "…è quasi fuori dal portone del condominio. Triste e sconsolato, guarda delle persone a caso, alcune felici, altre senza apparenti emozioni. Si chiede per un attimo perché.

Poi, dandosi una botta alla fronte con il dorso della mano, inizia a sorridere piano poi molla gli ormeggi e diventa sempre più sguaiato: una risata piena, senza freni.

Qualcuno lo nota, e forse vede la sua maglietta con le macchie di gelato. Ma lui se ne frega, adesso che si è ricordato dove ha lasciato le sue tette, è troppo felice."

Rido anch'io, mentre mi tiro indietro sullo schienale e mi accendo una sigaretta.

 (aM 13.2008)

mercoledì, luglio 02, 2008

Nuovo progetto

"Buchago is back!" (ammesso che qualcuno ne abbia sentito la mancanza).
Il suo nuovo progetto è una raccolta di poesia dal titolo "Muffe", che segue il successo internazionale di "Dimmi Parole Sporche".
Ecco di seguito la prima opera che ho avuto possibilità di tradurre per conto della casa editrice che ringrazio.

I

Appesa alla sbarra
Che ti salva dall’incertezza
Di una frenata non prevista
Guardi in basso
Verso il signore distinto
Che copre il suo completo gessato
Con la cronaca rosa di pagina 20
Non ricordi più a che ora
Tornerai a essere viva
Se lui ti porterà buone notizie
O cattive come sempre
La borsa con i detersivi
Che la Signora ti ha fatto comprare
Pesante, ti balla tra le scarpe
Non sono quelle che avresti voluto
Ma sposare uno con il vizio dell’azzardo
Non è una cosa che ti salva
Dagli imprevisti prevedibili
Dai lavori improvvisati
Dalla noia delle domeniche a casa
Con i figli già pronti
a renderti difficile
seguire quel programma che tanto ti piace
Andassero anche loro in sala corse
Almeno
Che io devo sopravvivere
Per continuare a sognare

("Muffe", R. Buchago 2008)