lunedì, giugno 29, 2009

Schiappacasse a un bivio

Roberto Schiappacasse – “Potrei forse...” – Ed. Feltrinelli

Un’opera dalle tinte sfumate questo romanzo d’essai di Roberto Schiappacasse.

Dopo il discreto successo di “Quale sarà dei due?” torna la narrazione indecisa del giovane autore spezzino, ma di cittadinanza panamense.

Ecco di nuovo una rappresentazione della vita come dubbio eterno, come scelta da intraprendere eternamente e incessantemente.

Non aspettatevi quindi verità assolute o affermazioni sicure da “Potrei forse...”, versione moderna del più classico “asino di Buridano”.

Sebastiano Bivio, il personaggio del romanzo, si trova davanti al proprio televisore di casa alle prese con una decisione difficile da prendere: ha infatti appena installato il decoder digitale, quando dallo schermo appare la scritta “Premere OK per aggiornare la lista dei canali” .

Sebastiano resta bloccato sulla sedia in bachelite dai mini quadretti verdi della sua cucina non abitabile. Sul tavolo una bottiglia con il tappo in metallo piena di acqua e idrolitina e una copia di R.I.D. (Rivista Italiana Difesa).

La scelta, un vero tabù, la cosa più difficile da fare, per uno che ha sempre avuto difficoltà a scegliere: un lungo flashback riporta il personaggio ai tempi del Liceo, all’angoscia con cui cercava d’identificare il significato corretto di quel termine latino che sarebbe stato necessario inserire nella traduzione.

La scelta inesorabilmente risultava sbagliata: restava in lui la sensazione di un mondo in cui deve essere lasciato al destino, e non agli uomini, il compito di scegliere. E se qualcosa va male, così, è solo colpa del destino.

Da questo punto la trama riparte sino a mostrare tutti i momenti salienti e le decisioni importanti della vita di Sebastiano: il modello del telefonino (Motorola con il Flip o Nokia a tasti scoperti?), l’allestimento della sua Ford Fiesta (sedili canna di fucile o verde bottiglia?), cambiare definitivamente sesso o continuare a vivere la sua vita di donna imprigionata nel corpo di un uomo a cui comunque piacciono le donne?

La pressione del pollice sul telecomando, indeciso sul da farsi, (dare corso a quanto richiesto dal decoder digitale oppure lasciare tutto come prima?), crea quella tensione che permea tutta la trama del libro e che porterà il lettore a farsi molte domande. Domande che resteranno inesorabilmente senza risposta.

Interpellato sul motivo di questo universo narrativo basato sull’indecisione e sul dubbio, l’autore non ha saputo fornire una risposta definitiva, trincerandosi dietro una selva di “mah”, “Chissà” e magari.

A questo punto la scelta di acquistare questo libro è tutta vostra.

O forse no.

domenica, giugno 21, 2009

Vento forte

Sono a Le Grazie adesso. Al bar o'goto. Bevo una birra del golfo
ambrata alla spina. Sono seduto in mezzo a stranieri venuti con le
loro barche a vela. C'è un vento e un mare tale che potrei essere in
qualche pub sulla costa inglese. Dio come sto bene...attimo fermati
direbbe Faust.
Inviato da iPod

martedì, giugno 16, 2009

Barnacci è Barnacci

Quando nacque Barnacci, nessuno se lo sarebbe mai aspettato.

A parte la mamma e il papà ovviamente, che però non erano Barnacci.

L’ostetrica lo cavò fuori, distrattamente, dall’anfratto e lui inizio subito a piangere.

Quel che poi diventò infine Barnacci non è risaputo.

Qualcuno addirittura sostiene abbia conosciuto Grande Bulacky, ma questa è un’altra storia.

Barnacci andò a scuola come tutti , Diploma di ragioneria e due anni all’Università senza finirla. Con i pochi amici sostenne sempre che ce l’avrebbe fatta a finirla.

E come tutti conobbe l’amore.

Barnacci non visitò mai Gardaland.

Nel 1985 comprò una Fiat Ritmo usata da un concessionario di Radicondoli.

Fu un acquisto d’impulso.

Il digitale terrestre lo fece infervorare, soprattutto per la funzione televideo avanzata.

Ma poi tutto risultò un fuoco di paglia e così si diede definitivamente all’alcool.

Barnacci non comprò mai la cyclette.

Al Supermercato si divertiva a comprare la pancetta Tulip, quella a strisce, unta e pronta per essere fritta con le uova.

Barnacci non amava le uova, ma adorava la pancetta Tulip.

Barnacci si sentì stufo di essere italiano parecchie volte.

Barnacci cantò l’inno di Mameli con la mano sul petto.

Non votò mai quel partito là.

E nemmeno quell’uomo lì.

Una sera guardando le stelle pensò una cosa bellissima. Mentre si asciugava le lacrime se la dimenticò. Subito dopo fece un peto impressionante.

Sulla tomba di Barnacci hanno scritto Qui giace Barnacci.

La storia non ha mai preso in considerazione Barnacci.

venerdì, giugno 12, 2009

AmoR RomA

Sono arrivato che mancava davvero poco alle 20.
tra il rumore delle
persone in coda ai taxi, i clacson del traffico, i venditori ambulanti
e un piacevole vento che ti salvava dal primo tentativo di vero caldo,
mi sono sentito l'ospite speciale a una festa esotica.

Il sole è ancora bello alto e io sono finalmente arrivato a Roma.

Non ce l'ho fatta a prendere il taxi perché la coda della gente in
attesa ha preso una pericolosa deriva anarchica. Due davanti a me si
sono messi a discutere su quale fosse la direzione corretta della
fila. Altre persone si sono messe a risalire il traffico in modo da
intercettare l'arrivo dei taxi. Turisti americani fermi a guardare
questo spettacolo compreso nel prezzo.

Ho preso il mio trolley e mi sono buttato nella città, stranamente
privo di ansia, mi sono mosso verso una direzione qualsiasi.

Quando dopo metri sono giunto nei pressi di una rovina romana, che ho
scoperto essere una parte delle Terme di Diocleziano, ho chiesto di
Via Vittorio Veneto a tre persone e nessuno mi ha potuto aiutare.

Un traffico incredibile, gran strombazzamenti e africani ad ogni angolo.

Salto piazza esedra e trovo un taxi, così raggiungo l'hotel.

La zona è piena di auto blu, polizia , turisti americani e arabi.
Siamo di fronte all'Ambasciata americana e a fianco dell'Hard Rock Cafè.

Il giovane alla Reception è gentile e cosmopolita: parla il romano in
mille diverse lingue.

L'albergo è moquettato e arazzato, alcova di sottoministri e segretari
accompagnati da ragazze in cerca di fama. Mio padre mi ha detto che un
tempo qui ci passavano gli attori, io fuori dal ristorante in cima a
Via Veneto vedo una scorta di qualche politico.

Sono lontano anni luce da
quegli hotel Business dove a Milano e in altre capitali europee si
fanno gli affari.

Mi dicono che là in fondo c'e Piazza di Spagna e Trinità dei Monti, ma
non sono riuscito a vederle: in albergo a elemosinare una connessione
internet per leggere la posta del lavoro.

Riesco per mangiare qualcosa, mangio normale e spendo tanto, in un
locale strizza americani.

Un arabo tratta il cameriere come uno schiavo.

Ringrazio il mirto finale se riesco a prender sonno subito in albergo,
tra vapori di numeri e processi da ottimizzare.

"Dotto' Gheddafi ha bloccato il traffico, s'è portato dietro 4 aerei
pieni de gente" il tassista al mattino si giustifica delle strade
piene di macchine in cui mi ha portato.

Ma non ho fretta: guardo il Colosseo, il Circo Massimo e i Fori
Imperiali, nello specchietto retrovisore noto i miei primi capelli
bianchi tentare di diventare maggioranza.

Il posto perfetto per scoprirsi passato.

venerdì, giugno 05, 2009

Boston Spaceships

Boston Spaceships – The Planets are Blasted (Guided by Voices, 2009)

…e così di colpo Mike Ness mi dà due schiaffi e mi urla nelle orecchie: “ascoltati i Boston Spaceships, invece di perdere tempo a polverizzare Saturno con il disgregatore molecolare!”.
Io mi scuoto un attimo e gli balbetto che sì va bene, va bene. E invece non va bene un bel niente, sono nudo con addosso solo una maglietta dei Take That e - per giunta - al posto del disgregatore ho in mano un tagliaunghie. E, ai piedi, delle infradito tigrate. Urlo e mi sveglio. 

(continua su Blackmilkmag.com)

martedì, giugno 02, 2009

Canopi di Selaschetti

Immaginate che per un istante la vita vi diventi chiara e comprensibile come non mai. Una percezione profonda e concentrata, un'epifania a cui non si può sfuggire e tutto ti sembra di colpo chiaro: un po' come se l'anima venisse strizzata e ridotta a una sensazione. 
Ecco, tutto questo, almeno come tentativo, vogliono essere i "Canopi" di Mario Selaschetti, di cui pubblico molto volentieri qui di seguito un primo estratto.

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I

Il sale si mescola al profumo delle acacie e agli avanzi del fritto misto che guarda sul tavolo di fronte a sè. La caraffa di vino bianco è quasi finita e quel che resta è caldo. Osserva i nipoti che giocano sdraiati per terra, all’ombra, con alcuni robottini colorati. Non urlano, come patissero il caldo del sole delle quattordici pure loro. Il vento, senza troppa convinzione, lieve agita le foglie appese al pergolato e rimanda il tintinnare vago di qualche campanella, mossa dal beccheggiare delle barche  ormeggiate.

I suoi figli, dai capelli sul farsi grigi, non sono seduti vicini al tavolo dalla tovaglia ormai sporca. Ascoltano distratti le mogli raccontarsi pezzi di cose del momento. Non ricorda più che voce avessero quando erano piccoli. Dondola la sua testa raggrinzita.

I loro sguardi non lo incrociano più, con quel misto di paura e di venerazione di un tempo. Di colpo, come un attacco di cuore, la sua coscienza precipita nel passato. Aveva amato sua moglie? Adesso che lei non c’è più si sente come un invitato a una festa dove non conosce più nessuno. Settantanove anni sono un bel traguardo. Quanti ne vedrà ancora? Il pensiero scivola subito via. Gioca con il pollice a solleticare la cicatrice all’indice che gli ha lasciato quel tornio. Ricorda la corsa in ospedale e la paura di non poter più lavorare. Dio mio come farò a mandare a scuola i miei figli? Adesso di tutta quella paura non resta che una considerazione relativa, un eco smorzato. Quasi un sollievo. Le cose andarono avanti comunque: una casa col mutuo, uno dei due figli diplomato, la pensione col rinforzo di un’entrata complementare.

“Domenico, hai visto che bella giornata oggi?” gli sussurra la nuora, una donna sfiorita giovane senza più sogni negli occhi. E lui tornando dai suoi pensieri intrisi di alcool e digestione la guarda riconoscente e risponde: “Si, davvero bella”. 

Poi, come spesso capita quando si è molto vicini a guardare dietro al sipario della vita, tutto torna consueto, come l’odore di casa tua quando rientri la sera.

(Mario Selaschetti)