Questo articolo tratto da La Stampa.it è davvero bello.
"La pace nel boccale del birraio Nadim
Nadim Canaan Khoury, 46 anni, laurea in Economia all'Università di Boston: nel 1995 ha fondato la casa di produzione della Taybeh Beer. Esporta 6000 ettolitri all'anno
La sua birra riunisce arabi e israeliani all'Oktoberfest palestinese
FRANCESCA PACI
CORRISPONDENTE DA GERUSALEMMETutti lo cercano per una pacca sulla spalla, una foto pinta a pinta, un brindisi: qualcuno ha visto Nadim Caan Khoury? Haviv, 25 anni, capelli a spazzola e casacca andina, butta giù d’un fiato mezzo litro di birra chiara e brinda all’uomo che la produce «God bless Nadim», che Dio benedica Nadim, Nadim Caan Khoury, mister Taybeh Beer. Haviv pensa in ebraico, la sua lingua, e parla in inglese: al check point ha mostrato il passaporto francese, il secondo, ereditato dalla madre. Avesse tirato fuori quello israeliano i militari gli avrebbero fatto parecchie storie: oggi ci si ubriaca, d’accordo, ma siamo pur sempre in Cisgiordania. Eppure, per una volta, perfino i duri dell’esercito chiudono un occhio, la terza edizione dell’Oktoberfest palestinese, l’unica in Medio Oriente, cancella per quarantott’ore muri, uniformi, posti di blocco. L’Oktoberfest con la kefia è un’invenzione di Nadim Canaan Khoury, 46 anni di cui oltre metà trascorsi all’estero, laureato in economia all’università di Boston e oggi proprietario della Taybeh Brewing, 6.000 ettolitri di birra l’anno esportati in America, Giappone, Germania, Israele. Nadim, come molti connazionali, è tornato a casa nel 1994, in seguito agli accordi di Oslo. Dieci mesi e molti viaggi in Baviera dopo, ha avviato l’attività fiore all’occhiello del paese, una brewery stile Monaco con la bandiera palestinese a mo’ di logo. L’Oktoberfest corona il suo sogno d’essere al tempo stesso imprenditore e palestinese: «L’anticipiamo a settembre per non sovrapporla al Ramadan, il mese sacro dell’islam, e alle festività ebraiche».Nadim parla forte per farsi udire, schiacciato com’è tra i capannelli di giovani chiassosi e la musica dei Dam, il popolare gruppo rap palestinese che dal palco mescola politica ed entertainment come a una vecchia festa dell’Unità. In sottofondo, le campane dell’antica chiesa di San Giorgio suonano l’Ave Maria. Taybeh, una ventina di chilometri da Ramallah, è l’ultimo villaggio interamente cristiano della Cisgiordania, dove, racconta don Raed Abusahlia, gli abitanti sono talmente gelosi delle proprie radici che «non vendono la terra né ai musulmani né agli ebrei». L’identità da queste parti è materia pesante, significa religione, storia, cultura. Adesso, grazie a Nadim Khoury, è anche un brand, il glorioso nome della birra locale.Lungo la strada che si arrampica sulle colline bruciate dal sole non ci sono cartelli. In lontananza, la sagoma di un campanile indica che la direzione è giusta. Al check point due soldati israeliani giovanissimi e insolitamente rilassati strizzano l’occhio, «lehaim!», «salute!». Alle loro spalle campeggia un cartellone grande quanto una porta, «Drink palestinian. Taste the Revolution». L’ha disegnato Nadim: «La comunicazione è l’anima del commercio». La fila di auto parcheggiate comincia qui, tre chilometri di targhe gialle, israeliane. Quelle verdi sono molte meno: i palestinesi vengono in autobus da Deir Dibwan, Dammun, Jarir. Zeid, 17 anni, mezzaluna d’oro al collo, arriva da Ramallah in autostop: «Mi hanno dato un passaggio tre stranieri. Ma non dico di dov’erano: non potrebbero caricarmi, è vietato, e con gli israeliani non si mai». La folla lo nasconde. «Abbiamo battuto il record dello scorso anno» gorgeggia il sindaco David Khoury, fratello di Nadim, abito gessato blu e camicia aperta sul petto. Tra il mattino dell’8 e la sera del 9 settembre 2006, Taybeh ha contato settemila visitatori, tre volte il numero degli abitanti. Una combinazione così eterogenea che neppure per la Road Map, il tortuoso percorso di pace: stranieri, palestinesi, israeliani. E oggi sono ancora di più. Nella Cisgiordania ufficialmente astemia il richiamo dell’Oktoberfest è come quello del pifferaio magico dei fratelli Grimm. I ristoranti di Nablus, Tulkarem, Betlemme, servono Sprite o Coca Cola. A Ramallah, la New York palestinese, fanno eccezione tre o quattro coffee shop alla moda con la cantina fornita di Chardonnay del Golan e Martini dry. In generale però, solo le botteghe dei cristiani sono autorizzate a vendere vino, birra, liquori. I musulmani comprano senza dare nell’occhio e brindano tra le mura domestiche. Quella di Taybeh è una parentesi vera, perfino l’esercito israeliano chiude un occhio.«È la diplomazia della pinta», osserva Nadim Khoury, mentre la moglie Suer riempie caraffe di bionda e frigge falafel: «In teoria solo noi cristiani beviamo alcolici, ma siamo appena l’1,5 per centro della popolazione. Come si spiega che il 60 per cento della birra Taybeh viene consumata in Palestina? E che dire del 30 per cento venduto in Israele? I musulmani si astengono, gli israeliani non si spingono mai oltre i posti di blocco, eppure oggi eccoli tutti qui». A due passi da lui Zeid inventa l’alibi dell’«ubriacatura patriottica» che ammette «il brindisi con il nemico»; Haviv, ebbro, ripete i versi dei Dam in arabo. "
"La pace nel boccale del birraio Nadim
Nadim Canaan Khoury, 46 anni, laurea in Economia all'Università di Boston: nel 1995 ha fondato la casa di produzione della Taybeh Beer. Esporta 6000 ettolitri all'anno
La sua birra riunisce arabi e israeliani all'Oktoberfest palestinese
FRANCESCA PACI
CORRISPONDENTE DA GERUSALEMMETutti lo cercano per una pacca sulla spalla, una foto pinta a pinta, un brindisi: qualcuno ha visto Nadim Caan Khoury? Haviv, 25 anni, capelli a spazzola e casacca andina, butta giù d’un fiato mezzo litro di birra chiara e brinda all’uomo che la produce «God bless Nadim», che Dio benedica Nadim, Nadim Caan Khoury, mister Taybeh Beer. Haviv pensa in ebraico, la sua lingua, e parla in inglese: al check point ha mostrato il passaporto francese, il secondo, ereditato dalla madre. Avesse tirato fuori quello israeliano i militari gli avrebbero fatto parecchie storie: oggi ci si ubriaca, d’accordo, ma siamo pur sempre in Cisgiordania. Eppure, per una volta, perfino i duri dell’esercito chiudono un occhio, la terza edizione dell’Oktoberfest palestinese, l’unica in Medio Oriente, cancella per quarantott’ore muri, uniformi, posti di blocco. L’Oktoberfest con la kefia è un’invenzione di Nadim Canaan Khoury, 46 anni di cui oltre metà trascorsi all’estero, laureato in economia all’università di Boston e oggi proprietario della Taybeh Brewing, 6.000 ettolitri di birra l’anno esportati in America, Giappone, Germania, Israele. Nadim, come molti connazionali, è tornato a casa nel 1994, in seguito agli accordi di Oslo. Dieci mesi e molti viaggi in Baviera dopo, ha avviato l’attività fiore all’occhiello del paese, una brewery stile Monaco con la bandiera palestinese a mo’ di logo. L’Oktoberfest corona il suo sogno d’essere al tempo stesso imprenditore e palestinese: «L’anticipiamo a settembre per non sovrapporla al Ramadan, il mese sacro dell’islam, e alle festività ebraiche».Nadim parla forte per farsi udire, schiacciato com’è tra i capannelli di giovani chiassosi e la musica dei Dam, il popolare gruppo rap palestinese che dal palco mescola politica ed entertainment come a una vecchia festa dell’Unità. In sottofondo, le campane dell’antica chiesa di San Giorgio suonano l’Ave Maria. Taybeh, una ventina di chilometri da Ramallah, è l’ultimo villaggio interamente cristiano della Cisgiordania, dove, racconta don Raed Abusahlia, gli abitanti sono talmente gelosi delle proprie radici che «non vendono la terra né ai musulmani né agli ebrei». L’identità da queste parti è materia pesante, significa religione, storia, cultura. Adesso, grazie a Nadim Khoury, è anche un brand, il glorioso nome della birra locale.Lungo la strada che si arrampica sulle colline bruciate dal sole non ci sono cartelli. In lontananza, la sagoma di un campanile indica che la direzione è giusta. Al check point due soldati israeliani giovanissimi e insolitamente rilassati strizzano l’occhio, «lehaim!», «salute!». Alle loro spalle campeggia un cartellone grande quanto una porta, «Drink palestinian. Taste the Revolution». L’ha disegnato Nadim: «La comunicazione è l’anima del commercio». La fila di auto parcheggiate comincia qui, tre chilometri di targhe gialle, israeliane. Quelle verdi sono molte meno: i palestinesi vengono in autobus da Deir Dibwan, Dammun, Jarir. Zeid, 17 anni, mezzaluna d’oro al collo, arriva da Ramallah in autostop: «Mi hanno dato un passaggio tre stranieri. Ma non dico di dov’erano: non potrebbero caricarmi, è vietato, e con gli israeliani non si mai». La folla lo nasconde. «Abbiamo battuto il record dello scorso anno» gorgeggia il sindaco David Khoury, fratello di Nadim, abito gessato blu e camicia aperta sul petto. Tra il mattino dell’8 e la sera del 9 settembre 2006, Taybeh ha contato settemila visitatori, tre volte il numero degli abitanti. Una combinazione così eterogenea che neppure per la Road Map, il tortuoso percorso di pace: stranieri, palestinesi, israeliani. E oggi sono ancora di più. Nella Cisgiordania ufficialmente astemia il richiamo dell’Oktoberfest è come quello del pifferaio magico dei fratelli Grimm. I ristoranti di Nablus, Tulkarem, Betlemme, servono Sprite o Coca Cola. A Ramallah, la New York palestinese, fanno eccezione tre o quattro coffee shop alla moda con la cantina fornita di Chardonnay del Golan e Martini dry. In generale però, solo le botteghe dei cristiani sono autorizzate a vendere vino, birra, liquori. I musulmani comprano senza dare nell’occhio e brindano tra le mura domestiche. Quella di Taybeh è una parentesi vera, perfino l’esercito israeliano chiude un occhio.«È la diplomazia della pinta», osserva Nadim Khoury, mentre la moglie Suer riempie caraffe di bionda e frigge falafel: «In teoria solo noi cristiani beviamo alcolici, ma siamo appena l’1,5 per centro della popolazione. Come si spiega che il 60 per cento della birra Taybeh viene consumata in Palestina? E che dire del 30 per cento venduto in Israele? I musulmani si astengono, gli israeliani non si spingono mai oltre i posti di blocco, eppure oggi eccoli tutti qui». A due passi da lui Zeid inventa l’alibi dell’«ubriacatura patriottica» che ammette «il brindisi con il nemico»; Haviv, ebbro, ripete i versi dei Dam in arabo. "
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