giovedì, ottobre 30, 2008

Un anno passa in fretta

Io e te non ci conosciamo ancora
Ti vedo mentre passi, di braccia in braccia
dalla mamma alle nonne
dalle nonne alle zie
dalle zie alla mamma
Tuo fratello ti gira al largo come il topo dall'esca avvelenata
Ha già detto che puzzi
mentre ti osservava piangere durante il cambio del pannollino
Avremo tempo e modo di annusarci
con tutti quei lunghi pomeriggi
che diventano sera
che si spegneranno prima o poi
davanti alla televisione
Non mi fido di te, come di tuo fratello
So già che vi amerò alla follia e che mi farete soffrire
Perchè mi farete gioire tanto
Ma già così, dai primi momenti
devo dire che mi sei piaciuto tanto
E se continuerai a mangiare ogni 4 ore
e a non farti sentire troppo
tra una poppata e l'altra
Allora sono un uomo davvero fortunato.

(R. Buchago - Dimmi Parole Sporche 2008, trad. M. Selaschetti)

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Now playing: Seu Jorge - Life on Mars?
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domenica, ottobre 26, 2008

C'è del marcio in Danimarca


A Copenhagen dei ragazzi stavano fermi in mezzo allo Stroget con una freccia in mano per promuovere dei locali.
A Copenhagen pioveva e faceva un freddo da capitale del Nord.
A Copenhagen i locali sembrano dei pub inglesi.
A Copenhagen, nei pub, vendono le birre Tuborg e Carlsberg in versione "Brown" che è davvero buona ma non arriva in Italia.
A Copenhagen le aringhe non sanno di aringhe e sono buone.
A Copenhagen in ogni piatto ci mettono l'aneto e i capperi.
A Copenhagen non ho visto piante di capperi in giro.
A Copenaghen anche se piove non si usa l'ombrello.
A Copenhagen i tassisti sono tutti indiani o curdi e accettano le carte di credito.
A Copenhagen giravo con l'ombrello e mi guardavano strano.
A Copenhagen le ragazze girano in bici con le minigonne anche se piove ed è notte.
A Copenhagen il mare non profuma di mare.
A Copenhagen adesso ci sono stato pure io.

sabato, ottobre 18, 2008

Mario Selaschetti e Severgnini.

L'ineffabile Mario ha inviato un racconto alla rubrica del Corriere.it di Beppe Severgnini.
E l'hanno pure pubblicato. Guardate qui.
Ma li mortè!

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Now playing: Jacques Brel - Mon Enfance
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venerdì, ottobre 17, 2008

Ma chi scrive il copione della vita?


L'altro giorno è morto il figlio di Gerard Depardieu. Una vita di eccessi, ma non è questa la cosa che mi ha colpito. Piuttosto ho trovato bizzarra la struttura del copione della sua vita. Bizzarra a tal punto da farmi pensare a chi può averla scritta così: sicuramente un Dio amante della coerenza e della costanza, almeno per quanto concerne le afflizioni. Sì, perché Guillame Depardieu nel 2003 perse una gamba dopo un incidente con la moto a causa di una infezione presa all'Ospedale dove venne ricoverato (e non tanto per le ferite riportate).
Questa cosa (direi più che giustamente) lo fece incazzare e gli fece mettere su una Fondazione con lo scopo di migliorare le condizioni degli ospedali francesi, affinché nessuno più dovesse soffrire pene così grandi a causa della mancanza d'igiene negli ospedali transalpini. Poi a soli 37 anni muore di una polmonite fulminante.
Qualcuno dirà che il suo corpo minato dagli eccessi era diventato un bersaglio facile per le infezioni e i virus del nuovo millennio.
Sarà anche così. Ma uno sceneggiatore decente avrebbe lasciato spazio alla redenzione e non si sarebbe fatto tentare da un finale così simile a una banale allegoria.
Bonne chance Guillame!


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Now playing: Beirut - Prenzlaurberg
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martedì, ottobre 14, 2008

Porco parco

Bloccato da un amico di mio figlio al parco. Devo stare quì ancora un
po'. Moscerini mi danzano in bocca e sulle ciglia. Non posso muovere
le mani, cariche del suo giubbotto e un gormito doppio. Per favore
Satana, fa il tuo mestiere. Ma lontano da quì te ne prego.
(R.Buchago - Bozze)


Inviato da iPod

lunedì, ottobre 13, 2008

Libronauta esausto

Ho appena finito di leggere "Tokyo Soup" di Ryu Murakami, un prolifico scrittore e regista giapponese (ricordo ancora il turbamento che ho avuto guardando la locandina di Tokyo Decadence, il film diretto da Murakami e basato sul suo libro) . Molto bello, una sorta di American Psycho ambientato a Tokyo. Fantastico come l'autore sviluppa il personaggio di Frank. 
Il libro di Burroghs (Correndo con le forbici in mano) è ancora in bagno. Lo leggo (quasi) ogni mattina. Confermo che è divertente, ma niente di più.

domenica, ottobre 05, 2008

Solubili...encore une fois

Non sapevo quale fosse il livello di danno che quella roba gli aveva provocato. Un amico di famiglia sulla sessantina, più o meno dell'età di mio padre mi sedeva davanti e mi guardava con un'aria abbastanza attenta. Era la prima volta che lo vedevo dopo che era uscito dall'ospedale perché si era preso un ictus.

La moglie al suo fianco non tradiva la minima preoccupazione come se fosse ormai normale per lei andare in giro con lui in quelle condizioni. Probabilmente ha ormai compreso che tutti quanti conoscono la sua situazione: il giro di conoscenti è una comunità in cui le informazioni sul tuo conto girano veloci (devo ricordarmi di questa cosa, non è poi così tanto banale).

Seduto sulla sedia a rotelle incominciava a guardarsi attorno come un bambino al supermercato. Non sapevo cosa fare e come comportarmi, per fortuna la moglie iniziò per prima la conversazione.

-       Allora come stanno i tuoi?

-       Bene – Risposi pensando a quanto fosse diversa la mia situazione dalla sua e al fatto che non potessi rispondere automatico – e voi?

Cercai di rimanere attento alle parole di quella donna, ma la curiosità era troppo forte. Mi voltavo continuamente per guardarlo. La bocca si muoveva, indicando che non vi era alcuna traccia di paresi. Sussurrava qualcosa, una specie di nenia, forse una canzone. Ma non riuscivo a intendere perfettamente il suono che gli usciva dalla bocca perché dovevo far finta di essere attento a cosa mi diceva quella donna.

-       E Michela come sta?

-       Bene, da quando abbiamo avuto Julian non lavora più..

Aggiunsi qualche dettaglio in più per scappare dalla trappola del – e voi come state – inoltre non ricordavo più il nome dei suoi figli e questa cosa mi rendeva praticamente incapace di sostenere una conversazione decente. Potevo solo muovermi su temi inutili e generali. Lui iniziò a fissarmi sorridendo e così io, di riflesso, iniziai a ricambiare mentre annuivo a caso alle parole che la moglie mi diceva. Devo essere sincero: non captai praticamente nulla di quello che mi disse. La mia distrazione era così totale che molto probabilmente (ma di questo non ne sono sicuro) devo aver sbagliato il momento in cui infilarmi nella conversazione. Devo aver risposto un "e del resto" forse nel momento in cui lei mi chiedeva qualcosa. Comunque non vidi la sua reazione sul volto perché (e la cosa è ancora oggi un mistero per me) incominciai a rivolgermi al marito.

-       Allora Paolo, come va?

Come il suicida che capisce di aver sbagliato solo dopo essersi buttato dalla finestra, compresi di essermi infilato in un casino, ma era troppo tardi. Lui sembrò ignorare la mia domanda per un attimo poi, come fosse la cosa più naturale del mondo, fece un'espressione del tipo "e come vuoi che vada? Non vedi che sono sulla carrozzella?"

Guardò sua moglie, per un attimo e mi disse, tornando a fissarmi con attenzione, con il tono di chi voleva dire "ormai non mi resta che attendere": "stivali messicani conquistano il lavandino".

Dopo averlo detto rimase a sostenere il mio sguardo con intensità. Nessuna traccia di pentimento, poi fece un cenno che sua moglie interpretò come un andiamo e ci accomiatammo.

Continuo ancora oggi a pensare a quelle sue parole, forse avevano un senso in qualche altra dimensione. Ma il punto non è questo.

Penso che le parole, quando perdono di significato, acquistano una bellezza atroce. Sono la scoperta di qualcosa d'inimmaginato. Il segnale che c'è qualcosa che sfugge.


(aM 18.2008)

venerdì, ottobre 03, 2008