martedì, gennaio 11, 2011

Sati Revolution - parte IV

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IV


Il tipo esce con la sigaretta. Ha addosso solo la maglietta con il logo della stessa marca di sigarette che sta finendo di fumare. Fa freddo e il fumo si porta via il suo respiro. Fuori dal seminterrato le luci del porto di San Francisco aspettano il segnale dell’alba per andare a letto.

Il tipo, con i suoi capelli chiari a caschetto e i pantaloni a zampa di elefante stretti in vita, sembra una copia in cera di Brian Jones.

“Julian, che ne pensi?” gli fa l’ispettore capo Billi, un tipo sulla sessantina con una giacca a quadri inguardabile come il grande naso a patata che indossa sul viso.

Il tipo si gira verso l’ispettore e tira via la sigaretta che finisce in acqua.

“Fammi fare l’ultima verifica e ti dico, ma se lo è, è grande, molto grande..” dice senza troppo trasporto.

“Ne avevi mai viste di così?”

“No”

“Ti faccio portare dentro la sonda, eh?” l’ispettore guarda Julian come se stesse ammirando l’ultimo modello di Ferrari.

Julian annuisce poi guarda in lontananza un Ferry che si sta avvicinando alla grande baia.

“Adesso rientro con la sonda. Non fare entrare nessuno.”

“Ok” fa l’ispettore capo Billi.

Julian rientra nel seminterrato. Due agenti gli portano un grande cavo con un piccolo monitor e una luce alle estremità.

Si siede davanti alla cosa. Pensa al suo respiro. Pensa che sta inspirando poi pensa che sta espirando. Dopo qualche minuto i pensieri sono piccole bolle che evaporano. Poi c’è solo respiro e la mano che infila la sonda nel mostro metallico dai riflessi fosforescenti. Dopo qualche centimetro, la sonda tocca una sacca di pensieri carichi di ansia. Le bollette non pagate e le ultime analisi del sangue. Gli amici che potrebbero essersi offesi perché non chiamati da tempo. Il ritardo di lei e un errore nella procedura di inserimento della sonda. Julian vede tutto questo carico esistenziale lasciare la presa senza fare danni. La sua capsula di consapevolezza lo lascia indenne da questi pensieri pesanti. Sembra un cielo che vede passare delle nuvole. Una mucca che guarda passare il treno.

La sonda continua il suo viaggio, percorrendo una sorta di spazio libero tra i tubi e i cavi della struttura isometrica lucida di metallo. Lenta ma senza interruzioni, come un rivolo di acqua sulla sabbia, come è solito fare in questi casi. Per prima cosa analizza il carico di Dukkha presente nella struttura, poi la ingaggia dandole in pasto una pillola di consapevolezza. Se è attiva la cosa si accende e una fluorescenza denota questo evento. A questo punto cerca l’ingresso del canale dove infilare la sonda, stando ben attento a isolare la propria grande riserva di consapevolezza in modo che la cosa non possa detonare, forte di questo innesco. Poi spinge la sonda in profondità nella struttura.

Julian incontra il pensiero della morte, dei suoi genitori sconosciuti, del dolore che nella vita inesorabilmente ci attende, della finale persa per un’inezia. Lascia sfogare. Lascia andare. Più la sonda avanza e più il peso e la pressione di questi pacchetti di pensiero diventa sempre più forte. Sono colpi mortali per una mente non preparata. L’ansia innescherebbe uno spasmo di panico che porterebbe il cervello al blocco o il cuore allo stallo.

Le bombe psichiche sono il Loro regalo all’umanità.

Secondo un recente reportage della BBC hanno ucciso o reso “invalide” almeno 200 milioni di persone nell’ultimo anno.

La sonda si ferma di colpo e Julian osserva dal piccolo monitor il centro della cosa.

E’ il suo cuore pulsante, il suo sancta sanctorum, il suo nucleo vitale.

Due fori diventano un naso, poi una bocca socchiusa viene fuori da una strettissima apertura alla fine del lungo pertugio. C’è una persona incastonata nella cosa, oppressa dal metallo assemblato attorno al suo corpo, se ancora esiste oltre alla sua testa. Claustrofobicamente incastrata la sua natura è ancora realmente umana: un lieve sussulto di vapore sulla sonda rivela il suo essere, ancora, vivente.


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