venerdì, marzo 28, 2008

E nessuno me lo porterà via..

...fa parte di me. Almeno per il 25% del mio carico genetico io sono un figlio (non prodigo) della Sardegna. Lo devo a una persona schiva dalla dignita talmente grossa che sarebbe impossibile raccontarla senza fare la fine di quello che racconta delle balle al circoletto con gli amici, davanti a un bicchiere di vino. Naque tanti anni fa, quando ancora non serviva il 2 all'inizio del secolo in un paesino di nome Calasetta.
Quello che segue, quindi, non può essere neutrale, per questo prendete pure tutto con il beneficio dell'inventario. Ebbene, penso che "Passavamo sulla terra leggeri"sia il più bel libro che io abbia mai letto. Lo ha scritto Sergio Atzeni e se come penso non sapete nemmeno chi sia (e come potreste? Escono ogni giorno più di 400 libri...), bene allora vi prego di scoprirlo, fatelo ve ne prego, ne vale la pena (oltretutto rendereste finalmente utili questi post...). Ancora oggi non ho compreso il segreto della sua scrittura, ma solo per darvi un'idea è la cosa più vicina alla poesia che sia, infine, una prosa con una trama che ti spinge ad andare comunque sino all'ultima pagina. Sino in fondo.
Caro Sergio mi piacerebbe chiederti di persona come hai fatto, ma purtroppo dove sei adesso iChat non funziona.
Mi manchi già tanto, anche se non ti ho mai conosciuto di persona, come mi manca quella grande persona che è stata mio nonno Antonio.

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Now playing: Tazenda - Vida Domo Mia (Feat. Eros Ramazzotti)
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martedì, marzo 18, 2008

Racconti solubili #5 (parte 1)

Disperazione.
Alla fine, dopo un po’ di bei ragionamenti, penso che tutto questo sia dovuto alla disperazione.
Mi tengo solo un piccolo spiraglio, ma bisogna essere onesti con sè stessi: io scrivo per disperazione.
Sono arrivato alla soglia dei 40 anni e non mi sento più il protagonista della mia vita. Lavoro per una banca e ho due figli. Dovrei essere appagato (quanto meno, tolto il mutuo, c’è di che campare), ma non vedo più occasioni di crescere sul lavoro e i miei figli crescono da soli, insomma il mio è ormai un ruolo da comprimario. Così cado spesso in depressione da mancanza di scopo e sono preda facile per la grande Noia Nera: quel sentimento fastidioso che di solito si prova alla domenica verso le 17 e 30, circa.
Intendiamoci credo di essere attento ai miei figli, ma non li sento, ancora, come la mia missione principale. Consideratemi male, ma per me è così, mi ritengo ancora un individuo con delle esigenze e dei desideri distinti da quelli del genitore (sui cui doveri sono comunque attento). Così un’estate in ferie, come spesso mi accade quando ho tanto tempo per pensare, ho ripreso a scrivere. Cercavo ancora un motivo per tornare a sentirmi l’attore protagonista e non cascare ancora nella depressione. Ma non avevo molta fiducia e a essere sincero c’era una voce nella mia mente che mi diceva: “ma cosa fai…? E’ tutto inutile..” Come dargli torto del resto: ho fatto tanti tentativi nel corso degli anni ma mi sono sempre fermato quasi subito. La mia casa è piena di tentativi di romanzi, d’inizi stentati lasciati ad ammuffire dopo al massimo una decina di pagine…sempre per colpa di quella voce dentro. Questa volta però, forse grazie all’esperienza di me stesso che deriva dalla maturità, o dall’aumentata depressione, mi sono imposto di scrivere dei racconti brevi e così ho iniziato a buttare giù qualcosa. Non mi sono stufato subito, visto che le storie si concludevano in poche pagine e anzi ho continuato a scriverne un po’: oggi ne ho messe insieme già una decina e costituiscono uno dei motivi per cui tengo la depressione e la Grande Noia Nera fuori di casa qualche giorno in più alla settimana. Grazie a loro ho qualcosa da proporre ai mie amici in cambio della loro attenzione. Mi sento un artista. Quando al lavoro le cose vanno male mi dico “non importa tanto tu sei un artista, non farti buttare giù”. Lo so sono uno stupido illuso. Ma mi preferisco così che depresso e in mano alla Grande Noia Nera.
(continua...)

Racconti solubili #5 (parte 2)

Adesso l’unica paura che ho è che la parte più pigra e razionale di me, la stessa che alimenta quelle voci che mi dicono “ma cosa fai…? E’ tutto inutile..” abbiano la meglio sulla mia voglia di scrivere. Ci sono solo due cose che mi salvano per il momento: la prima è che se scavo dentro di me esiste forse un altro motivo per cui scrivo. E’ un qualcosa che ha a che fare con il tempo che passa e alcune piacevoli sensazioni provate tanti e tanti anni fa. Vorrei provare a riscrivere in dettaglio e usando le parole giuste che cosa ho provato in modo da poter testimoniare a me stesso che ho davvero vissuto quei momenti. E inoltre, se ci riuscissi, sarei in grado di trasferire questa esperienza anche ad altri. Ci ho provato varie volte e non ci sono mai riuscito, ma il legame con il me passato è ancora così forte che, quando quella voce sta per aver il sopravvento, facendomi sentire inutile come scrittore, mi basta ripensare a quelle sensazioni che mi torna la voglia di riprovare a fissarle sulla carta, ancora una volta.
Allora, ci riprovo.
Sono a La Spezia, poco lontano da casa dei miei nonni, in una delle viuzze che collegano il centro storico al grande viale alberato che fronteggia le mura dell’Arsenale militare. Dev’essere autunno da poco o primavera inoltrata, verso le ultime ore del giorno. Le 17 e 30 circa, credo. MA non di domenica, di questo sono sicuro. Guardo verso l’Arsenale, dove finisce il muraglione, verso l’alto, vedo la grande sagoma verde scuro, con qualche puntino bianco baluginante, delle montagne attorno alla città (a parte il lato aperto sul mare), con i suoi minuscoli paesotti da presepe incollati sopra. E ancora più in alto il cielo terso color azzurro. Diverse tonalità di azzurro dalla più scura sino a un colore più simile al bianco con striature rosa proprio dove il sole si è appena tuffato. Il contorno dei monti è una riga nitida. Tutto questo panorama è compresso nella porzione che le due case che costeggiano la viuzza ti lasciano osservare. Sembra di entrare in un universo di luce calma. Così mi viene una gran nostalgia di tornare a casa, di indossarla e di sentire quel brivido che di solito si prova quando in una notte fredda ci si butta sotto le coperte, ancora fredde, per poco, giusto il tempo di accogliere il calore del tuo corpo e restituirtelo.
La seconda cosa che mi salva è una soluzione che ho trovato da poco e sembra per il momento funzionare. E’ semplice, faccio così: quando la voce arriva e le sento dire “ma cosa fai…? E’ tutto inutile..”, allora mi giro verso di lei, la Grande Noia Nera (perché lo so che c’è lei dietro questa voce) e le rispondo che in fondo non ho granchè altro da fare…quindi meglio continuare a scrivere, fosse anche una perdita di tempo.
Non m’importa.
Lei mugugna e mi fissa per un attimo in segno di sfida.
Sputa, poi se ne va.

(aM 5.2008)
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Now playing: Placebo - Every You Every Me
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giovedì, marzo 13, 2008

Alle amiche future puerpere over 35

La cosa più vicina alla passione

E' giunto il momento
di lasciar stare tutti gli orpelli e gli stucchi da scrittore da 4 soldi
che cerca d'impressionare il lettore e un po' se stesso
perchè adesso si deve raccontare la propria vita
senza gonfiarla troppo.
Occorre solo raccontarla
maneggiandone anche il più piccolo granello,
senza rovinarlo
e se alla fine avrò fatto un bel lavoro
ci penserà lei a risplendere
di quella luce semplice
e per questo così vera e così piena di significati
da farla restare Viva
anche quando la rileggerò tra mesi, anni, epoche.
Scrivo tutto questo s'un foglio rimediato da un blocco appunti del lavoro
mentre ti guardo, sul lettino
in attesa che il monitor a cui ti hanno collegato mostri la prossima contrazione
sono le 5 del mattino del giorno in cui nascerà Julian
e proprio adesso ti metti a sbuffare
guardando un punto indefinito davanti a te,
nella posizione del gatto in piedi
Un'ora fa mi guardavi dormire nel nostro letto
la tua valigia già pronta ti aspettava lì a fianco
Poi di colpo il segnale "Andiamo!" detto sottovoce per non svegliare Morgan
che quando lo farà, più tardi, troverà solo la nonna a dirgli una piccola bugia
mentre noi saremo qui ad aspettare il suo nuovo compagno di camera.
Prima, camminavo nel lungo corridoio deserto su cui si affacciano gli ingressi dei vari reparti Ho acceso il mio iPod
a caso
sperando in un pezzo adeguato
Mi ha pescato proprio quello che volevo
e questo l'ho preso come un buon auspicio
Waterloo sunset dei Kinks
un vecchio pezzo che conosco solo da due giorni
scoperto per caso durante la ricerca di un pezzo dei Blur su Youtube.
Dovrebbero scaricarlo tutti, gli devo molto
Perchè mentre camminavo in quel corridoio lungo desolato e mal illuminato
da quei neon che esistono solo negli ospedali di notte,
m'ha levato di dosso l'impressione di essere in qualche film del terrore.
Come sei buffa con quel pancione
e quelle ciabatte
che penzolano dai tuoi piedi seduta sul letto nella tua vestaglia ormai strettissima
Scherzi. Mi chiedi il gameboy per distrarti un po'
Non sei molto sexy adesso
Nonostante le mutandine tigrate che tornerò a desiderare
A essere sincero anch'io non sono al massimo con i capelli sfatti e gli occhi rossi di sonno
Non mi faccio la barba da una settimana perchè nell'ansia dei preparativi
son rimasto senza lamette
ma questi sono i momenti su cui investire
per chi, come noi vuole stare ancora tanto assieme
o almeno ci proverà
che poi è la cosa più vicina alla passione
quando il momento in cui si può anche non aver più paura d’invecchiare
assieme
è quasi in silenzio
arrivato.

(R. Buchago - Dimmi parole sporche 2008)



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Now playing: Dead Kennedys - Too Drunk To Fuck
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lunedì, marzo 10, 2008

Racconti solubili #4 (ex racconti polaroid)

- dai dimmi cosa ne pensi ne ho fatti due sulla stessa falsariga...
Mario prende i due fogli in mano e inizia a leggere.
Mi sento osservato.
Niente di che, ma ho la sensazione di essere osservato.
Mi giro di scatto, anche se mi rendo conto di poter sembrare un po’ rincoglionito, ma sento qualcosa di estraneo qui intorno. Qualcosa di alieno.
E pensare che io non faccio nulla di particolare. Lavoro in un negozio di tessuti. Lana, misto cotone, fresco lana, punto croce. Tutti termini tecnici del mio universo. Ma in questi odori e in questi termini mi ci ritrovavo. Almeno sino a qualche minuto fa. Tutto a un tratto ho avvertito come un qualcosa che...una sensazione di.., insomma come quando viene aperta una porta che da sull’esterno e anche se non la vedi aprire senti che nell’aria qualcosa è cambiato. Ho controllato, non è entrato nessun cliente e sono solo nel negozio. Guardo anche dietro quella colonna porta rotoli là in fondo. Ho un po’ di ansia, adesso. Fischietto. Non posso essere così andato! Adesso guardo anche lì dietro.
Niente.
Non c’è nessuno qui dentro, ma io continuo a sentirmi osservato.
- allora cosa ne pensi?
- Non ho ancora finito, dammi il tempo di finirlo, cos’è un racconto?
- Si, almeno dovrebbe...
Adesso avverto anche dei rumori. Sono diventato paranoico, ma è come se avessi sentito un fruscio. Una eco di voci lontanissime, o forse il rumore di una televisione fuori sintonia..un dialogo tra due persone. Ricontrollo i luoghi, ma non me la sento di andare nel retro. Adesso ho davvero paura.
Una paura assurda.
Anzi una paura dell’assurdo, so di essere osservato. Deglutisco e cerco di trattenere un brivido inaspettato. Adesso ho la certezza più atroce.
Inizio a sudare. E’ quel tipo di sudore viscido che sa di cipolla...
Ho capito che chi mi osserva non è di questo mondo. Mi sento un pupazzo nelle mani del destino. Un personaggio in un racconto di poco conto.
Che sia il diavolo?
La morte?
Dio?
Mario alza lo sguardo verso l’amico che lo sta fissando interrogativamente.
- Allora che te ne pare?
- Boh, ma si dai carino..e poi tu l’hai fatto apposta, prima, a interrompermi per dare più senso all’aspetto dei rumori che sentiva il personaggio..
- E bravo Mario mi hai sgamato...leggi il secondo adesso, così dopo puoi spararmi addosso con più argomenti...
- Ok, ma poi dove andiamo..?
- Facciamo un salto alla macchinetta del caffè al terzo piano, sento Massimo se ci raggiunge..
- Ok..
Mario si appoggia al tavolo e, dopo aver messo davanti il foglio che era sotto a quello con il racconto che ha appena finito di leggere, inizia a guardarlo. Sembra interessato.
Il tizio pelato si muove senza troppa ansia. Passa da una stanza all’altra come se avesse dimenticato qualcosa, ma non ricorda più cosa. Le valige sono sul letto. Una è ancora aperta. Guarda fuori dalla finestra. Sembra preoccupato, guarda in basso verso la strada. Poi entra in una porta e sparisce.
Dopo qualche minuto ne esce rimettendosi a posto la maglietta dentro i pantaloni e tirando su la zippo dei pantaloni. Apre il cassetto di fronte alla camera da letto e tira fuori delle cose. Sembrano magliette, mutande e qualche pantalone. Li tiene appallottolati, come un unico oggetto e si volta.
Butta tutto dentro la valigia aperta. Prova a chiuderla. Non ci riesce. Ci si siede sopra, ma non riesce a chiuderla. La riapre e ci rovista dentro. Tira fuori una busta nera e la apre. Ci sono dentro delle mazzette di banconote. Ne ha prese sei o sette e le ha messe sul letto. Esce dalla camera.
Quando rientra ha indosso una giacca molto grossa. Sistema le mazzette nelle varie tasche.
Deve aver sentito un rumore perchè si blocca di colpo.
- Allora hai finito di leggere?
- Un’altro giochetto? Guarda che ho già superato il pezzo in cui il tizio sente i rumori...stavolta ti è andata male..eh?
Mario sorride e riprende a leggere.
Si rimette a cercare qualcosa. Ha molta fretta. Si asciuga la fronte con la manica della grande giacca. Sta sudando molto. Rimette la busta nella valigia e ci si siede sopra per chiuderla.
Adesso ci riesce. E’ molto teso, la sua faccia è paonazza.
Torna a guardare fuori. Guarda dappertutto. Verso la strada in basso, lungo il grande viale che porta al municipio. Verso il cielo grigio di questa giornata invernale. La luce lo abbaglia per un istante..
Si vede che si sente osservato.
Quando alza lo sguardo verso i tetti, dove mi trovo io, ho già premuto il grilletto su questo tizio che ha messo la sua mano sopra gli occhi per riuscire a mettere a fuoco meglio.
Forse non il miglior giorno dell’anno per farsi ammazzare...
- Si, anche questo non è male...ma lo sai che i racconti così non mi dicono un granchè..questi giochini alla Borges non mi scaldano, già visti mille volte...e poi sei un infame perchè il personaggio che fai morire è pelato come me..
- eh si, sei proprio una cazzimma di merda, anzi un bancario cazzimma pelato di merda.
Mario ride poi si blocca per un’istante.
- non hai sentito un rumore?
Silenzio. Mario si blocca come per tentare di ascoltare con più attenzione. Poi si mette a ridere di nuovo.
- Ci sei cascato eh?!
- Eh si, ma chi vuoi che ci metta in un racconto a noi due...?!
- Moccia?
- Magari, almeno ci potremmo chiavare anche qualche giovane studentessa..anzi parlo per me visto che tu, Marione, sei un ricchionazzo..pelata cazzimma ...
- ..e hai dimenticato bancario di merda...!

venerdì, marzo 07, 2008

Liberamente tratto da "A Forismi" di Peter Hust

Un uomo che entra in chiesa non è detto che sia credente... Un uomo che entra in un altro uomo non è detto che sia gay!

mercoledì, marzo 05, 2008

Incanto

Tra le ringhiere nere
cespugli liberi
di fiori 
rosa, verdi e qualcuno rosso 

sembrano la parte viva del palazzo
Aggrappati

dondolano all'aria lievi 

Siamo tutti pigri
oggi

e in balia di questi (e)venti

(R. Buchago - Dimmi parole sporche, 2008)

martedì, marzo 04, 2008

Libro, vino e musica

Ho finito di leggere Gente di Dublino di Joyce, con una certa angoscia. Non è il libro che ti distende e non saprei darne un giudizio. Sono una decina di racconti, quindi è sempre possibile "staccare" dalla trama, ma allo stesso tempo l'atmosfera plumbea e appiccicaticcia della Dublino descritta, rende la lettura un pochino ostica. Tra i racconti che ho preferito "Un incontro" per la sua aspra modernità. Parla di due bambini che scappano da un vecchio adescatore, un tema sicuramente difficile ora, figuriamoci ai primi del '900 quando viene scritto il racconto. Mi ha interessato anche il racconto "I morti" da cui è stato tratto un film da John Houston (mai visto, confesso), anche se meglio di questo ho trovato "Pensione di Famiglia" un vero manifesto contro il matrimonio (una persona costretta a sposare una donna, dopo averla "conosciuta" in senso biblico). Se Joyce, come si dice, vuole dare una descrizione dello squallore della maggior parte delle vite ("..i reietti del banchetto della vita"), direi che ci è riuscito.
Una volta in questo blog si parlava anche di bevute e di vino. L'altro giorno grazie a Fabio detto "Er Meraviglioso"ho potuto assaggiare due vini assurdi (un Pomerol dell'82 e un Hermitage del '97). Li ho fotografati e da totale ignorante sul tema vi(mi) evito qualsiasi recensione (ho comunque goduto assai).
Musica: sono incuriosito dal gruppo chiamato Eels, adesso li ascolto.



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Now playing: Eels - Somebody Loves You
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lunedì, marzo 03, 2008

Racconti Solubili #3 (ex Racconti Polaroid)

Ti sei alzata prima di me.
Adesso sento i rumori in cucina. Chiudi il pensile dove ci sono i biscotti.
Sbatte l’anta nel rilascio: sei ancora nervosa.
Ieri sera siamo andati a dormire senza salutarci. Ognuno con i rispettivi musi. Gli stessi che ci mostriamo quando le differenze si acuiscono e le tolleranze del nostro incastro collassano...e io che faccio lo scrittore me ne intendo di similitudini e di parole in generale. Sono il mio lavoro. Il mio universo è fatto di parole scritte.
La radio ha su un pezzo vecchio..mi sembra qualcosa dei Beatles. Sono scalzo e non trovo le ciabatte. Forse è Strawberry field. No, ora sento meglio. Mi sono sbagliato è One degli U2.
Quanta luce vedo nella stanza. Tu sei girata e versi il caffè nella tazza, almeno credo dal movimento del braccio, perché non ti vedo. Ora mi hai sentito, ne sono sicuro, ma non ti giri. Lo immaginavo. Io mi avvicino lo stesso. Ma provo del fastidio, ho un’età per cui soffro ogni volta che mi sento giudicato. Fosse anche per una parola detta male.
Faccio l’ottimista dico - ’giorno - e poi aspetto. Come il pescatore ti getto l’esca. Di nuovo una bella similitudine da Reader’s Digest.
E tu mi rispondi con un - ’giorno - non dei tuoi migliori, ma hai pur sempre parlato e quindi riguadagno fiducia.
Il cielo sembra più bello fuori e sento pure il rumore di quegli uccelli che ti svegliano le mattine d’estate. Quando i sogni te li asciughi dalla bocca (ecco lo scrittore, ancora) e poi vai in bagno a pisciare, con i capelli spettinati che vedi riflessi nello specchio.
Ora basta romanzare, però. Ingoio il caffè che mi hai lasciato. E’ tiepido, sembra riscaldato. La tua mano, adesso, gioca con le briciole di un biscotto sulla tovaglia di ieri.
Non abbiamo sparecchiato.
E’ un gesto meccanico che fai, mentre ogni tanto, tenti di vedere se ti sto guardando. Ma si vede che non vuoi fartene accorgere.
Sei un libro aperto per me. Ormai. Come io, devo esserlo per te, del resto. Adesso alzi la testa per buttare all’indietro i capelli. Sbadigli. Se solo sapessi quanto fastidio mi da quella tua espressione mentre stiri la faccia. Avrei dovuto dirtelo altre volte. Ma siamo così sicuri che l’amore sia dirsi tutto?
– Che bella giornata! – ti parlo, provo a far partire qualcosa. Apro pure il volto in un mezzo sorriso e ti fisso per la prima volta, oggi. Non ricambi il sorriso e ti volti per non incontrare il mio sguardo. Ti brucia ancora la mia offesa di ieri e io non capisco ancora perché ti ho detto quelle cose. Sentivo una voce che mi faceva rumore dentro insieme al sangue che mi pulsava nelle tempie e mi diceva – diglielo! Che aspetti! Se lo merita! Ti ho resa l’unico bersaglio della mia grande rabbia.
Ho sbagliato, lo so. Ti guardo mentre ti passi la lingua sui denti per levare le tracce del biscotto che ti sono finite tra il labbro superiore e i canini. Tieni gli occhi bassi sul resto del caffelatte che galleggia nella tazza bianca con la scritta “I love NY” che abbiamo comprato in viaggio di nozze. Provi a richiudere la confezione dei biscotti. Ti fermi un attimo per grattarti una caviglia, poi ci riprovi.
- Si proprio una bella giornata…- questa volta sei tu a dirmelo e mi riguardi negli occhi. Non ricordo più da quante epoche non lo facevi. Cerco di coglierne il vero significato. Direi neutro. Ma è un buon inizio, penso.
- Hai degli impegni oggi? – E’ una domanda banale, me ne rendo conto. L’ho buttata lì. Ma tu fai un gesto come di una persona che non è più qui da tempo. Stringi le spalle verso il collo e metti le mani con il palmo verso l’alto.
Questo gesto è la rivelazione finale. Lo ripercorro mentalmente come in una moviola di un’azione incriminata in area di rigore. Che cosa mi hai fatto? Perché?
Nel tuo sguardo un’espressione vuota. Di colpo mi sento di aver perso tutta la confidenza.
- Non lo so..anzi si…non ricordo – mi dici, sconosciuta, mentre i tuoi pensieri sono già lontani.
Il mondo m’implode attorno.
Ricordo le grandi date storiche: la presa della Bastiglia, la caduta di Bisanzio, il mondiale perso ai rigori contro l’Italia. Hanno tutte un alone di sacro…non sembrano giorni come tutti gli altri, eppure lo sono. Un giovedì è pur sempre un giovedì, non importa cosa ci accade dentro. E invece no.
Ma guarda un po’ a cosa penso…
Anche oggi è un giovedì. E’ il 20 aprile 2008.
Sono le 8 e 38 e la nostra storia finisce qui.

(aM 3.2008)
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Now playing: Scorpions - Yellow Raven
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sabato, marzo 01, 2008

Il Capitale ?

Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di NOIA



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Now playing: Lambchop - Low Ambition
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