lunedì, novembre 19, 2012

Addio ai carrugi e a questa vita che pian piano alla meta si avvicina

Quando muore una persona che conosci rende malinconico il ricordo dei tempi passati. Mi fa venire in mente la canzone "Azzurro" in quel pezzo in cui dice di aver perso il treno e di doversene quindi restare in città da solo, mentre gli amici sono già andati via, for good. In questo caso poi, quando a morire è una persona legata al rifugio preferito della mia infanzia, la malinconia è tripla.

Persino nel mio più recente periodo di depressione e forte esaurimento ho continuato a rivolgermi nei sogni a Korniglia, vedendola come in realtà è, e cioè un riparo incastonato su una collina, davanti all'infinito del mare.
Un'astronave pronta a salpare in caso di marosi emotivi o tempeste esistenziali.
Una torre per difendersi dai rovesci dell'ansia e delle angosce.
Una cassaforte dove mettere a fruttare il tempo più lieto.

Avevo 5 o 6 anni e in quegli isolati carrugi tra il mare e il verde della collina e dei campi potevo dar sfogo a tutta la mia giovane forza, salvo poi bussare a sera al portone della tua casa e salire a cenare.
Sono pochi i frangenti, come questo, in cui posso ricordarmi che la libertà è segno più di gioia che di paura di superare un limite invalicabile.
Non posso dire che fossimo intimi, ma la tua morte mi ha fatto capire, ancor di più, che la nave su cui siamo compirà il suo viaggio sino in fondo.
La direzione è segnata, saluto i compagni che scendono senza troppa convinzione, quelli nuovi che salgono un po' spauriti e mi appresto ad andare avanti: dopo tutto è il viaggio la cosa più importante.


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