lunedì, marzo 03, 2008

Racconti Solubili #3 (ex Racconti Polaroid)

Ti sei alzata prima di me.
Adesso sento i rumori in cucina. Chiudi il pensile dove ci sono i biscotti.
Sbatte l’anta nel rilascio: sei ancora nervosa.
Ieri sera siamo andati a dormire senza salutarci. Ognuno con i rispettivi musi. Gli stessi che ci mostriamo quando le differenze si acuiscono e le tolleranze del nostro incastro collassano...e io che faccio lo scrittore me ne intendo di similitudini e di parole in generale. Sono il mio lavoro. Il mio universo è fatto di parole scritte.
La radio ha su un pezzo vecchio..mi sembra qualcosa dei Beatles. Sono scalzo e non trovo le ciabatte. Forse è Strawberry field. No, ora sento meglio. Mi sono sbagliato è One degli U2.
Quanta luce vedo nella stanza. Tu sei girata e versi il caffè nella tazza, almeno credo dal movimento del braccio, perché non ti vedo. Ora mi hai sentito, ne sono sicuro, ma non ti giri. Lo immaginavo. Io mi avvicino lo stesso. Ma provo del fastidio, ho un’età per cui soffro ogni volta che mi sento giudicato. Fosse anche per una parola detta male.
Faccio l’ottimista dico - ’giorno - e poi aspetto. Come il pescatore ti getto l’esca. Di nuovo una bella similitudine da Reader’s Digest.
E tu mi rispondi con un - ’giorno - non dei tuoi migliori, ma hai pur sempre parlato e quindi riguadagno fiducia.
Il cielo sembra più bello fuori e sento pure il rumore di quegli uccelli che ti svegliano le mattine d’estate. Quando i sogni te li asciughi dalla bocca (ecco lo scrittore, ancora) e poi vai in bagno a pisciare, con i capelli spettinati che vedi riflessi nello specchio.
Ora basta romanzare, però. Ingoio il caffè che mi hai lasciato. E’ tiepido, sembra riscaldato. La tua mano, adesso, gioca con le briciole di un biscotto sulla tovaglia di ieri.
Non abbiamo sparecchiato.
E’ un gesto meccanico che fai, mentre ogni tanto, tenti di vedere se ti sto guardando. Ma si vede che non vuoi fartene accorgere.
Sei un libro aperto per me. Ormai. Come io, devo esserlo per te, del resto. Adesso alzi la testa per buttare all’indietro i capelli. Sbadigli. Se solo sapessi quanto fastidio mi da quella tua espressione mentre stiri la faccia. Avrei dovuto dirtelo altre volte. Ma siamo così sicuri che l’amore sia dirsi tutto?
– Che bella giornata! – ti parlo, provo a far partire qualcosa. Apro pure il volto in un mezzo sorriso e ti fisso per la prima volta, oggi. Non ricambi il sorriso e ti volti per non incontrare il mio sguardo. Ti brucia ancora la mia offesa di ieri e io non capisco ancora perché ti ho detto quelle cose. Sentivo una voce che mi faceva rumore dentro insieme al sangue che mi pulsava nelle tempie e mi diceva – diglielo! Che aspetti! Se lo merita! Ti ho resa l’unico bersaglio della mia grande rabbia.
Ho sbagliato, lo so. Ti guardo mentre ti passi la lingua sui denti per levare le tracce del biscotto che ti sono finite tra il labbro superiore e i canini. Tieni gli occhi bassi sul resto del caffelatte che galleggia nella tazza bianca con la scritta “I love NY” che abbiamo comprato in viaggio di nozze. Provi a richiudere la confezione dei biscotti. Ti fermi un attimo per grattarti una caviglia, poi ci riprovi.
- Si proprio una bella giornata…- questa volta sei tu a dirmelo e mi riguardi negli occhi. Non ricordo più da quante epoche non lo facevi. Cerco di coglierne il vero significato. Direi neutro. Ma è un buon inizio, penso.
- Hai degli impegni oggi? – E’ una domanda banale, me ne rendo conto. L’ho buttata lì. Ma tu fai un gesto come di una persona che non è più qui da tempo. Stringi le spalle verso il collo e metti le mani con il palmo verso l’alto.
Questo gesto è la rivelazione finale. Lo ripercorro mentalmente come in una moviola di un’azione incriminata in area di rigore. Che cosa mi hai fatto? Perché?
Nel tuo sguardo un’espressione vuota. Di colpo mi sento di aver perso tutta la confidenza.
- Non lo so..anzi si…non ricordo – mi dici, sconosciuta, mentre i tuoi pensieri sono già lontani.
Il mondo m’implode attorno.
Ricordo le grandi date storiche: la presa della Bastiglia, la caduta di Bisanzio, il mondiale perso ai rigori contro l’Italia. Hanno tutte un alone di sacro…non sembrano giorni come tutti gli altri, eppure lo sono. Un giovedì è pur sempre un giovedì, non importa cosa ci accade dentro. E invece no.
Ma guarda un po’ a cosa penso…
Anche oggi è un giovedì. E’ il 20 aprile 2008.
Sono le 8 e 38 e la nostra storia finisce qui.

(aM 3.2008)
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Now playing: Scorpions - Yellow Raven
via FoxyTunes

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