lunedì, luglio 20, 2009

Ansia

Adesso che spero di esserne fuori, posso ammettere di aver attraversato un brutto momento.

Uno dei più brutti della mia vita.

Di colpo il mio cervello ha iniziato a produrre ansia in quantità industriali. All’origine del mio viaggio nell’Ade una questione lavorativa. Una persona che lavora in un’azienda di persone importanti, mi ha messo pressione su alcuni temi e io ho incominciato a immaginarmi l’unico colpevole di eventuali ritardi, a immaginarmi additato all’interno della mia azienda come beota, crocifisso dal mio responsabile, licenziato in tronco per colpa grave.

Che fine avrebbero fatto i miei figli? Come dir loro che non posso più comprargli i Gormiti?

Di giorno ogni cosa mi sembrava nera e limitata, dalle pareti di grigia gomma vischiosa, la mia vita si fermava all’evento e non andava oltre. Nemmeno il pensiero di vedermi dopo due anni, dicendomi ad alta voce “mica ti ammazzano” mi faceva sentire meglio. Il week-end in famiglia volava come gli ultimi tre giorni del condannato a morte. I miei cari si preoccupavano per me, ma nessuna delle loro parole lenitive aveva effetto. Ero nel posto più bello del mondo ma mi pareva di essere a Lambrate di Gennaio.

Oggi che le cose sono passate, come mille altre, senza grandi conseguenze, resta in me la domanda di come possiamo essere così mal progettati da farci così male da soli.

Vorrei mettere a frutto queste cose, capire per evitare che si ripropongano un’altra volta, senza dover ricorrere alla Chimica.

Voglio evitare di vedere la mia faccia allo specchio e di scorgervi un bue pacioso con il volto tumefatto dagli ansiolitici.

E soprattutto vorrei davvero poter insegnare ai miei figli che nella vita solo alla morte non c’è rimedio. Anzi per non rompere da subito con il grande Tema delle nostre vite, dirgli solamente che a tutto c’è rimedio. Dirgli che l’ansia non serve a niente perché è lo scarto di lavorazione del cervello più inutile che ci sia. Che alla fine se anche tutto andasse male, resta sempre Pitcairn.

Avevo 15 anni e avevo paura di sbagliare i saggi a scuola. Un misto di timore e orgoglio mi facevano odiare il momento in cui dovevi dire ai tuoi genitori non è andata bene. Perché significava solo che non avevo fatto il mio dovere di studiare (ed effettivamente quando accadeva era sempre per questo motivo). Certe mattine viaggiavo verso la mia giornata come un locale sulla tratta Mortara Milano Porta Genova.

Un giorno vidi un documentario s’un Isola talmente sperduta dove non solo si erano sistemati gli ammutinati del Bounty, ma i loro discendenti continuano a starci pure oggi, organizzandosi per avere tutto quel che serve per vivere. Ovviamente non c’è niente di urgente o di pressante. O per lo meno questo apparve nella mia testa di ragazzo ingenuo: il più classico dei miti della fuga che da lì a poco avrebbe cambiato almeno una vocale.

Così scrissi a matita sopra il mio letto “ricordati di Pitcairn”.

Devo essermelo scordato se ancora oggi sulla soglia dei 40 anni lascio che il mio cervello si diverta a prendersi gioco di me.

Se anche voi, ogni tanto, vi sentite preda di ansie, sappiate che non dipendono da qualcosa che è successa fuori, ma probabilmente da qualcosa che è ancora dentro di voi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

non so se alludi a quei tempi, ma anch'io ho provato queste cose a quei tempi.
ciao valse