martedì, luglio 07, 2009

"Dez Amerega": Corniglia 5 terre


Qualcosina è cambiata negli ultimi 30 anni scarsi a Corniglia, il paese più impervio delle 5 terre. Avevo sei anni e una brutta otite da curare, per cui mi portarono a prendere l’aria buona nel tentativo (riuscito al primo colpo) di evitare altre punture.

Era il posto perfetto per alimentare la fervida creatività di un bambino di quell’età. Ancora lontana dal boom turistico, si arrivava in paese dopo un ascesa di 382 scalini che si abbarbicavano sulla collina su cui dei folli avevano eretto il paese della Gens Cornelia, iniziando a salire dalla Stazione minimale e scassata e da una fenomenale spiaggia di sassi.

Poi arrivati in una piazzetta il cui unico scopo era dividere il quartiere vecchio da quello ancor più vecchio del paese, si entrava a Corniglia dal suo carrugio principale. Un budello dove la luce del sole fatica a entrare, piena di portoni che conducevano in grotte e cantine con qualche eccezione per i locali della macelleria, del bar e dell’unico alimentari del paese. Il più classico degli alimentari del paese che vende poco ma di tutto con il suo bancone frigo triste per la presenza di pochi esemplari di formaggi e salumi, nessuno di marca. E poi quell’odore tipico, misto tra latte, mozzarella e verdura vissuta.

Giocavo con i bambini del paese che ancora esistevano. Si correva in questi budelli di pietra che ogni tanto si affacciavano sui campi lavorati a pendio sul mare, perché la gente del posto non ha mai amato troppo il mare e si è sempre mantenuta terraiola: bisogna non voler per niente bene al mare per spaccarsi le ossa a tirar fuori vino, frutta e vegetali dalle pareti scoscese delle colline piuttosto che andare a pescare tutti i giorni. Roba che se arrivato al campo ti sei dimenticato a casa qualcosa le bestemmie le sentono sino alla Capraia.

Ma in fondo, come dargli torto ricordandosi che tanti anni fa dal mare non arrivavano traghetti carichi di turisti quanto piuttosto orde di simpatici saraceni pronti a razziare tutto quel che potevano.

Il mondo e l’universo fantastico finiva a Santa Maria: un terrazzo alla fine del carrugio dove si vede il mare sino alla Corsica, a volte, se c’è chiaro. Oppure sotto la torre, dove il risultato era lo stesso: una sterminata vista blu verso il mare aperto.

Mi avessero detto che la terra è rotonda e finita mi sarei messo a ridere.

Dopo 30 anni circa ci sono tornato e qualcosina devo ammettere è cambiata. Il carrugio è pieno di gente che s’infila nei vari locali che sono stati ricavati dalle cantine e dai fondi di una volta. La lingua ufficiale non è più quel misto di genovese e dialetto della valle di Vara ma l’inglese. Non c’è più la macelleria, ma adesso c’è un’Enoteca che vende bottiglie interessanti (Sassicaia, Biondi Santi e ovviamente Sciacchetrà) e una serie di bottiglie “storiche” con la faccia di Mussolini, Stalin e Hitler sulle etichette: ho contato un sacco di turisti stranieri che si fermavano a guardarle ridendo, poi due giovani italiani ne hanno comprate un paio per gli amici: mi sento sempre più un italiano in esilio in Italia...

Sotto casa adesso c’è una gelateria gestita da due fratelli milanesi che hanno mollato la metropoli per la tranquillità: si fa per dire, oggi. Non so come ma un po’ di vecchi amici indigeni mi hanno riconosciuto (in fin dei conti lo sono stato anch’io) e mi hanno omaggiato di prodotti locali. Soprattutto il vero vino delle loro terre mi ha abbattuto: un bianco dal color ambrato che si può bere fresco e non freddo, consci del fatto che dopo si deve andare a nanna (visti i suoi 14 e passa gradi).

Un giorno verso le 4 un Ape si è presentata nella piazza del paese ed è stata assalita subito da orde di anziani del villaggio. Poco dopo ognuno si avviava verso le proprie cantine con una o due cassette di acciughe. Morivano dalla voglia di pulirle e di metterle sotto sale nelle arbanelle (contenitori di vetro ad hoc).

Ho anche mangiato focaccia, quella vera, quella della provincia spezzina che è diversa da quella genovese: questa la puoi anche inzuppare nel caffelatte…anche se a me non piace il latte.

Nel negozio di alimentari l’odore è sempre lo stesso e questo mi ha fatto tornare vividissimi una serie di ricordi anche visivi (l’olfatto è la vera macchina del tempo).

Non so dire se sia meglio la Corniglia di oggi o quella di allora, so solo che ci si sta bene. Molto bene pure oggi.

Un amico che ha una pensione mi ha detto che un americano ha smontato la tavoletta del cesso per potersene andare via un giorno prima senza pagare.

Ecco forse sono gli americani che non sono più quelli di una volta..

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