mercoledì, luglio 01, 2009

Muscoli da succhiare


Verso Aprile inoltrato, se il tempo si divertiva a giocare un anticipo di Estate, la voglia di andare a scuola mi abbandonava completamente. Anzi a essere precisi più che abbandonarmi si trasformava in una sensazione di rompete le righe, di lassismo autorizzato: come se i giorni dell’impegno stessero finendo e che ci fosse quindi posto solo per celebrare un arrivederci alle pene settembrine del rientro e non per fare saggi o interrogazioni.

Questa sensazione rimase anche quando, raggiunta l’Università, mi trovai a fare il pendolare tra il week end a casa in una città sul mare, e la settimana di Studi ed Esami a Milano.

Quel week-end con due coppie di amici prendemmo il traghetto per l’Isola Palmaria. Così fuori stagione non c’era quasi nessuno, a parte i pochi militari a guardia del nulla e delle strutture dei vari circoli sotto-ufficiali dove il caffè non costa nulla e i tramezzini sono gonfi come le angurie ad Agosto. Abbastanza caldo per guardare il mare verde e ruffiano con la voglia di immergersi, ma ancora troppo freddo per non lasciarci il respiro mozzato dalla frustata dell’acqua fredda sullo stomaco.

Puntammo decisi su alcuni scogli della zona che guarda il mare aperto e la corrente più libera.

Un gabbiano provò col suo grido a farci ripensare, invano.

Ci ritrovammo con le gambe immerse a raccogliere il tesoro dalle pietre, dagli scogli e dal fondale meno profondo. I Jeans buttati sui bordi del sentiero che conduceva alla vecchia prigione napoleonica sembravano gli avanzi di una baraccopoli abbandonata di ROM.

Intirizziti e violacei portammo a terra quel bottino: tre o quattro chili di muscoli neri, quanto sarebbe bastato per una spaghettata.

Alla sera a casa facemmo sciogliere una mezza testa d’aglio nell’olio caldo, assieme a una capocchia di peperoncino rosso seccato in una padella enorme. Poco dopo toccò ai muscoli immergersi nel loro nuovo universo dorato, tra schizzi di trionfo e profumo di fame crescente. Pochi minuti, il tempo che gli ci volle per aprirsi e lasciar scappare quanto ancora si erano tenuti dentro del mare.

Spenta la fiamma si aggiunse il prezzemolo tritato a caso e stappammo un bianco.

Il giorno dopo in treno verso Milano, il paesaggio aveva il consueto pallore sordo del cammino del dovere.

Sapevo d’aglio da far schifo…

Nessun commento: