venerdì, agosto 14, 2009

E con questo si chiude: torniamo a fine agosto.
Chissà se Korniglia, dopo essere stato il romanzo più caldo dell'estate, diventerà quello più malinconico dell'autunno.
Vedremo...

A proposito se siete nuovi e volete leggerlo dall'inizio eccoi un link che dovrete percorrere a ritroso..cliccate qui.

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Ci sono 379 uomini nascosti sotto il piccolo bosco di castagni.
Aspettano che le nuvole coprano la luna, in modo da piombare di sorpresa e uccidere il maggior numero di persone, armate o no.
“Hommine, fije, quivi stiamo e spettiamo la hora perfecta.” Sussurra un uomo sulla trentina con l’elmo calato sulla testa che gli lascia uscire solo la bocca. Ha in mano una grossa balestra già caricata con una freccia.
Gli altri, quelli a lui più vicini, ascoltano il messaggio e lo passano a quelli più lontani, mantenendo il tono di voce basso.
“Si Deus Volet Mostraremo a Carpena Quid Segnificat Tradere Genua” continua l’uomo con l’elmo.
Anche un uomo in disparte, vestito con una tunica blu, stretta in vita da una cintura carica di coltelli, riceve l’informazione. Ha i capelli lunghi e di un nero stranamente lucente.
Gli altri lo scansano perché hanno paura di lui e della sua strana lingua.
Quando sono sbarcati a Vernazza dalla galea che li ha portati direttamente da Genova, lui non c’era. Si è unito alla compagnia di ventura, voluta e costituita da Teodoro il Paleologo, poco dopo la partenza verso Reggio, la grande abbazia da cui si domina tutto il tratto di costa sino al Mesco.
Molti della compagnia lo scambiarono per uno dei tanti spezzini che si sarebbero uniti a loro poco prima di arrivare sulla Sella La Croce. E poi calare giù, assieme, sino a Carpena.
Devono radere al suolo il borgo in cambio dei talleri d’argento promessi dal Capitano della Repubblica.
La sua prova d’arte per essere accolto nella brigata è stata quella di centrare un bersaglio con tutti i 9 coltelli di varie forme e dimensioni che si porta dietro agganciati alla cintura. Ce n’è pure uno a forma di mezza luna.
Il comandante sorrise quando gli vide compiere questo gesto: ha bisogno di uno così per eliminare le vedette sparse intorno a Carpena, sulla strada maestra che passa per questo borgo. Uno veloce, silenzioso e letale. Poco gl’importa quindi se quell’uomo parla una strana lingua e si fa comprendere, nelle scarse occasioni in cui ne ha intenzione, con dei gesti.
Carpena non è lontana ormai dal piccolo bosco di castagni in cui si trova la brigata. Basta percorrere uno dei numerosi sentieri che scendono verso la via del sale, attraversando i boschi che ricoprono le colline dell’entroterra. Di solito costeggiano dei torrentelli o dei ruscelli, pieni d’acqua solo in autunno.
Una volta raggiunta la via del sale la si deve risalire per qualche lega e poi, appollaiata su un terrapieno da cui si domina la valle sottostante appare Carpena e la sua grande rocca fortificata.
Tutto intorno al borgo una cinta di mura, non molto alta, si apre in due punti: Porta San Biagio e Porta del sale.
Dietro al grande portone che tiene chiusa Porta del sale, intarsiato con un trittico raffigurante la discesa di Lucifero all’Inferno, opera di artisti provenienti da Pisa, un anziano dalla barba lunga e bianca si siede per terra. Tira fuori da una sacca del formaggio e del pane e inizia a mangiare con estrema compostezza, nonostante abbia vestiti sporchi di polvere e la situazione non sia delle più comode. Dall’alto della porta, nella garitta dove si apposta la guardia a vista, scende un tipo giovane con in mano un bastone sulla cui sommità c’è una sorta di bicchiere in ferro.
Il giovane sembra turbato e si leva l’elmo di ferro che gli dà fastidio. Osserva il vecchio mangiare con calma e si sente come attratto da quella figura che non aveva mai notato nel paese.
“tienes paura Histebano?” la voce del vecchio rompe il silenzio.
Il giovane si volta per scorgere il volto dell’anziano percorso dai riflessi delle torce.
“Me conosces?”
L’anziano annuisce, porgendo un pezzo di formaggio.
Il giovane rifiuta con un mezzo sorriso. Poi appoggia lo strano attrezzo che teneva in mano alla parete e si siede accanto al vecchio.
“Tu es vicario o sacerdozio?”
“No, Histebano, ego no sum ni vicario ni sacerdozio”
“Malasorte! deber mihi confessar” il giovane si porta le mani al volto poi come ridestandosi aggiunge “tu qui est?”. Il giovane vorrebbe avere vicino un prete per confessarsi o anche un notaro per fare testamento. Un qualcosa del tipo “nell’anno domini 1411, ego Histebano Guglielmo Mariconda lascio tutti mei ahveri a sorella Letizia in San Miniato.” Ma così non è.
Il vecchio sembra indugiare, il giovane ripete utilizzando una forma meno volgare “Quid est?”.
Ma il vecchio, che in realtà aveva già compreso la richiesta, indugia perché una serie di pensieri si sono fatti pressanti.
“Ego sum Taliesino, y vengo da nord...da un insula del Nord”
“Me conosces?” il giovane fissa il vecchio negli occhi, per un attimo resta sorpreso dai suoi occhi chiari percorsi da lampi velocissimi. Poi, pensando che i lampi non siano altro che i riflessi delle torce accese tutt’intorno, torna a tranquillizzarsi.
“Si, ego te conosces e sabes che tibi temere mortem”
Il giovane si mette a piangere, portandosi la testa tra le mani. E’ schiantato dal pensiero della battaglia che sta per arrivare, dal fatto che dovrà accendere il petrinale, quell’arnese con quella polvere del demonio che ogni tre per quattro invece di esplodere mandando la palla di piombo a infilarsi da qualche parte davanti a lui, finisce nel cranio o nel corpo del suo possessore. Lo ha già visto succedere ai suoi compagni di sventura e questa immagine è così vivida che non riesce più a togliersela di dosso.
Proprio per raccogliere l’eredità di uno di questi, morto con il cranio in pezzi, hanno dato il petrinale a lui.
La campana di San Martino scocca le nove, il cielo è scuro senza luna, adesso.
“Histebano si tu velle immortalitatem ego tibi dare!” il vecchio alza il tono della voce e con la mano alta e aperta si alza e si avvicina al giovane, che resta sorpreso da questo gesto repentino e per un istante tenta di reagire. La sua tunica, come mossa da forze estranee alla realtà, si agita e le figure sopra disegnate sembrano prendere vita.
Il giovane con voce tremante tenta di gridargli “..sei lo dimonio?”, ma il tono non gli esce forte come vorrebbe, si sente in qualche modo stregato dal vecchio che ha di fronte sopra di lui. Intorno a loro il silenzio sembra totale. Una folata di vento gelido riscopre la una e il giovane scorge nuovamente gli occhi del vecchio. Ha di nuovo la sensazione di scorgervi un guizzo dentro.
“No ego no sum Lucifero, sed conosces illo…Histebano ego velle tibi mostrare esto arcano..”
Il giovane tenta un ‘ultima reazione ma non appena la mano dell’anziano, come avvolta dalle fiamme, gli si avvicina al volto, viene assalito da un terrore che lo paralizza.
La mano del vecchio torna a essere solo la mano del vecchio scoprendo un pezzo di pietra ovale, simile a un uovo percorso da venature fosforescenti.
“Serbat esta petra e ferat mihi post bello que hic habremus esta nocte.”
Il giovane con una certa titubanza prende il pezzo di pietra come ubbidendo a un ordine soprannaturale.
“Portamelo dopo la battaglia, ricorda!” il vecchio ripete la richiesta in volgare.
Il giovane vorrebbe chiedere mille cose tipo “dove ti ritroverò per consegnarti questa cosa?”, oppure “di quale battaglia parli?”, ma il vecchio tira fuori un altro pezzo di materia molto piccola (pare un pezzo di osso o comunque una pietra levigata molto piccola) e gliela porge.
“Tenet Histebano, hoc est immortalitatem, comes! Mangia!” il vecchio accompagna il discorso facendo il gesto di infilare in bocca l’oggetto.
Il giovane non sembra convinto di eseguire.
“Mangia!” gli occhi del vecchio diventano due lingue di fuoco, nel momento stesso in cui il giovane ingoia il piccolo pezzo di materia indecifrabile un urlo interrompe il grande periodo di silenzio. Dalla torre di guardia un uomo precipita con una freccia conficcata nel collo.
Il giovane inghiotte preso dal terrore: l’uomo è una macchina puntata sulla sopravvivenza.
E la speranza ne è la benzina.
Il vecchio osserva il giovane come un bambino guarderebbe un animale allo Zoo, da dietro le sbarre.
Il rumore degli assedianti si leva alto. Sono già sotto le mura. La brigata di guardia lancia l’allarme e una serie di giovani più o meno armati si appresta a occupare le garitte, i passaggi alti sulle mura e le feritoie.
Anche il giovane, dopo un periodo d’indecisione, come un giocattolo caricato a molla, si appresta a fare quel che deve.
Ma proprio mentre cerca di afferrare il petrinale, quel lungo arnese d’offesa, sente la testa girare e di colpo venirgli meno le gambe. Sente un fiume di lava scorrergli nello stomaco.
Si gira verso il vecchio tentando di gridargli “maladetto!”.
Crolla per terra in un secondo.
Il vecchio si avvicina come per controllare lo stato del giovane. Gli getta in faccia e sul corpo una sostanza liquida dal colore scuro.
Poi sembra sparire nel nulla.

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