lunedì, settembre 21, 2009

Korniglia tutto d'un fiato

Troverete qui una versione in pdf con tutti gli episodi.

Buona lettura con l'ultimissimo episodio della teleblogghela senza attrici che hanno fatto le escort di politici e attori che tirano di coca, assieme ai politici.
Forse.

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Gira il volume su 5 e il gain su 8, poi il suo Marshall combo 100 Watt, inizia a svegliare tutto ciò che dorme da lì a Vernazza. La sua chitarra nuova da quattro soldi strimpella un pezzo dei Nirvana del secondo album, quello più famoso. Canticchia “an albino a mosquito…”

Da quando è arrivato a Corniglia e si è potuto ricomprare la chitarra, questa è la prima volta che si mette a rompere le scatole al vicinato. A dir la verità non molto numeroso. Aristide abita praticamente a 20 metri da lui e di solito è troppo sbronzo alla mattina per reagire, poi per ritrovare la civiltà occorre percorrere almeno 100 metri più in su verso la piazza del paese. Billi lo ha sistemato nella prima casa che s’incontra risalendo i circa 300 scalini che vengono su dalla Marina, il piccolo approdo per le barche.

Prima di lui ci aveva abitato per qualche mese un artistoide pazzo, così gli aveva raccontato Matteo. Si faceva chiamare il Grande Bulacky. Che nome del cazzo, aveva pensato Alessandro. E pure come artista lasciava alquanto desiderare. Non dipingeva e nemmeno era uno sculture, faceva delle installazioni viventi. In una delle sue performance per poco il paese non cercava di linciarlo.

Dalla sua camera da letto ha una visuale su punta Mesco e, in alcune giornate particolarmente terse in cui i peli della schiena si rizzano come antenne per l’aria elettrica, sino alle cime più alte delle Alpi Marittime.

La sorte dopotutto gli è stata generosa, pensa, 80 metri quadri con vista mare, in uno dei posti più incantevoli che abbia mai visto.

Stamattina però si sente un po’ inverso. La chiacchierata serale con Billi e gli altri lo ha lasciato pieno d’inquietudine. Una sensazione che non provava da tempo. Almeno da quando è giunto qui.

La sua mente, in un attimo, lo riporta al suo arrivo a Corniglia. Toccato il suolo poco dentro la piazza dove arriva la strada che scende giù da San Bernardino e che unisce il quartiere della Chiesa al Borgo principale, si sentì come un bambino. Un bambino al caldo nel letto che, da sotto le coperte, avverte il suono del respiro della mamma.

La sua maledizione era iniziata pochi mesi prima del suo arrivo qui.

Una mattina appena alzato, avvertì un fastidio strano. Niente di particolare, ma abbastanza fastidioso: tutto quello che mangiava non aveva più sapore. Il caffellatte e la brioche sapevano di nulla. Anche i profumi e gli odori se ne erano andati via dal suo mondo.

Ci rimase male per tutta la giornata al lavoro, non capendo nemmeno bene a chi rivolgersi. Non è un dente che fa male che sai di dover finire dal dentista, pensò, chi è il dottore del gusto?

Chiese aiuto a un suo collega nella segheria in cui lavorava, che gli consigliò di andare direttamente al pronto soccorso di Nizza. Alessandro però non ci andò subito. “l’italiano” come lo chiamavano i suoi compagni di lavoro era un tipo testardo, lo sapevano tutti.

Ci si abitua a tutto o quasi nella vita e così andò avanti per un paio di giorni, mangiando e bevendo cose senza sapore, sperando sempre nel ritorno alla normalità. Con la mente cercò di indagare sulla causa e l’origine di questo problema insolito, mentre strimpellava con la chitarra una progressione di tricordi molto simili a “Smoke on the Water”. Sua zia, che lo sopportava dalla morte dei suoi genitori, non era in casa quella sera perché ospite a una dimostrazione di prodotti della Stanhome da un’amica di Saorge.

La sera prima di perdere il gusto era andato con Maria, una bella ragazza di Tenda dalle forme invitanti, a fare un escursione sopra a Casterino, nella valle delle meraviglie. Non è mai stato un amante delle lunghe passeggiate, ma la ricompensa probabile aveva avuto la forza di smuoverlo. Partenza all’alba dalla sua casa di Briga e poi, caricata Maria a Tenda, in auto sino alla destinazione: la valle delle Meraviglie.

Risalirono la valle poco sopra a Casterino e trovarono una zona incantevole e appartata. Una zona talmente graziosa che lui, per un attimo, si sentì come a casa.

Alessandro promise a Maria di amarla per tutta la vita un attimo prima di iniziare ad abbassarle i pantaloni. Ricordò che l’odore di sale e detergente intimo alla lavanda del suo sesso si mescolava con il profumo aspro dei mirtilli che avevano raccolto e mangiato al volo strada facendo.

Sino a quel momento dunque, tutto bene, ripensò.

Per un attimo il suo sguardo si era fermato sulla mano di lei, mentre si muoveva sul suo membro. Un particolare lo aveva colpito: una macchia violacea sul palmo delle mani di Maria.

Nel momento stesso in cui si lasciava venire nella sua bocca, precipitando dall’Eden, la sua mente lo aveva portato a cercare lo stesso segno sulle proprie mani. E infatti trovò la stessa macchia anche sulla punta dei suoi polpastrelli.

I mirtilli macchiano dannatamente. Alessandro fumò con calma la sua sigaretta e poi si avvicinò al piccolo laghetto che stava a pochi passi dal loro bivacco.

Aveva detto a Christine, la sua ragazza, che quel giorno avrebbe dovuto accompagnare in Italia la zia a comprare dei prodotti per la casa da mostrare alle proprie amiche. Con lei si era già sporcato diverse volte le mani in quella maniera. Avrebbe di sicuro potuto scoprirlo.

Maria si era assopita, abbastanza soddisfatta.

Immerse le sue mani nell’acqua gelida e iniziò a strofinare le dita con forza. Due e tre volte, senza apprezzabili risultati. Le macchie erano ancora lì e le mani cominciavano a intirizzirsi dal freddo. Decise di strofinarle con il fondo del laghetto, utilizzando la sabbia mista a piccoli sassi. Sfregò con decisione e il risultato non fu migliore. Ma, tra le piccole pietre che gli rimasero in mano, un granello di roccia gli sembrò subito particolare. Aveva delle striature gialle che sembravano accendersi come i tubi al neon delle insegne pubblicitarie. Strizzò gli occhi un paio di volte per vedere se l’effetto svaniva, invano. Poi si ricordò di tutte quelle pietre che raccoglieva al mare da piccolo e che, una volta fuori dall’acqua e asciugate, perdevano tutta la loro bellezza e particolarità.

Così prese questo piccolo granello di pietra e, tirato fuori dall’acqua, se lo mise sul palmo della mano. Visto così era davvero microscopico. Poco più di una testa di un chiodo.

Ma pur sempre pulsante o così pareva.

Lo prese tra il pollice e l’indice, strofinandolo lievemente e poi l’avvicinò agli occhi per vederlo meglio. Avvertì un profumo esotico, tipo l’incenso che vengono alla fiera di Gap di fine maggio.

Sentì anche il calore tornargli nelle mani e in tutto i corpo.

“Alessandro!” una voce di botto lo fece voltare. Dal mezzo spavento il granello pulsante gli cascò dalle mani finendo di nuovo in acqua.

Maria si era svegliata e lo stava chiamando.

Aveva fatto un brutto sogno. Un cavaliere era arrivato giù dalla montagna cavalcando a rottadicollo, ma proprio davanti al laghetto due sicari lo avevano raggiunto e ucciso. Il suo corpo era stato gettato nel lago. Prima di vederlo affondare aveva notato sulla sua schiena un drappo di velluto chiaro con al centro il disegno di un fante di fiori.

Non disse nulla ad Alessandro, si limitò a tirarsi su e andargli incontro. Lo vide stranamente scosso e con le mani caldissime. Un sorriso sul suo volto le fece pensare che andava tutto bene. E così fu.

Poco dopo, infatti, lo sentì venire sulla sua schiena, un attimo prima che le sue ginocchia incominciassero a farle male.

Gli chiese se la storia con Christine era roba seria o meno. Alessandro giurò sulla testa di sua zia che era una storia finita. La riaccompagnò a casa e la salutò senza troppe smancerie.

Ogni animale è triste dopo il coito.

Rimettendo la sua Fender Stratocaster nella custodia, Alessandro ne concluse che, episodio del granello a parte (forse dovuto alla canna che si erano fumati prima di fare l’amore), niente di strano poteva esservi all’origine del suo problema.

Quella sera le cose iniziarono a peggiorare.

Durante la notte una serie di visioni vivide lo colpirono a metà tra la veglia e il sogno. Una in particolare lo fece sussultare, riguardava Maria. Nella visione, la vedeva camminare in un sentiero di mezza montagna, circondata da grandi alberi di castagno tutt’intorno a lei. L’aria intorno a lei, dapprima piena di luce, di colpo si oscurava. Il sentiero di sassi e polvere diventava dapprima iridescente e poi di colpo assumeva le forme e le fattezze delle spire di un serpente.

Alessandro si svegliò in un mare di sudore. Prese il telefono e compose il numero di Maria, senza riceverne alcuna risposta.

Un terribile ronzio nelle orecchie e un cerchio alla testa lo convinsero ad andare, finalmente, al Pronto Soccorso. Chiamò Christine per farsi accompagnare, ma nemmeno lei rispose.

Il viaggio verso Nizza fu un vero calvario.

La zia, chiese a un suo “caro” amico, di portarlo in macchina.

Venne a prenderlo all’alba con la sua Panda 4x4 blu.

Alessandro sentiva aumentare il disagio a intermittenza: c’erano curve o passaggi in cui sentiva il suo corpo vibrare come se qualcuno lo stesso tirando per la pelle verso un’altra direzione. Il conducente dell’auto, un signore sulla sessantina dai capelli tinti pieni di lacca, scambiò il suo malessere con un tipico caso di mal d’auto. Forse avanzò nella sua testa anche l’ipotesi di astinenza da droga, alcool o entrambe. Il tizio scambiò qualche sguardo di rimprovero con Alessandro. La radio, il cui segnale andava e veniva, era puntata su una stazione di musica anni ’60. Un telegiornale flash parlò di un problema con i sussidi degli allevatori e di una vecchia, il cui nome si perse in una zona senza sintonia, trovata morta vicino a Briga.

Lo scaricò al Triage del Pronto Soccorso, accennando solo un saluto con l’espressione del viso, e riprese veloce la sua strada verso le montagne: la zia di Alessandro aveva in serbo per lui una bella ricompensa.

Nell’attesa della visita il fastidio sembrò placarsi. Si era seduto su una sedia da cui si poteva scorgere il sole, già abbastanza alto, verso sud est.

Lo ricoverarono per accertamenti.

La prima notte in ospedale (neurologia), Alessandro vedeva le ombre sul soffitto della camerata, alternarsi alle luci dei fanali delle ambulanze. Nel sogno si vide correre nella foresta con il cuore in gola e la sensazione di essere inseguito. Poi vide i genitori che lo salutavano, un attimo prima di salire su quell’aereo che non arrivò mai. Alla mattina, appena sveglio, il fastidio generale era ancora lì. Il caffelatte e la Brioche più anonime della sua vita, servite però da un’infermiera dalle forme ipertrofiche.

Almeno dai piani bassi qualche piccola reazione c’era ancora: si rianimò per un attimo.

Chiamò Maria con il cellulare: nessuna risposta. La preoccupazione gli rimase in testa per qualche minuto. Andare in bagno fu uno stupido gioco. Alessandro si accorse che riusciva ad andare con più facilità verso i bagni che stavano in fondo al corridoio, andando verso il reparto di Medicina Generale. Il suo corpo viaggiava di gran lasco, veloce e motivato, mentre se solo provava a raggiungere i bagni più vicini, che stavano di fronte all’ambulatorio del reparto, i suoi piedi diventavano di cemento e soprattutto, il ronzio che aveva in testa aumentava enormemente.

Questa cosa, assieme a un sudoku che aveva trovato sull’edizione domenicale del Nice-Matin tenne la sua mente impegnata per un po’. Almeno sino alla prima visita dal Neurologo.

“Le fa male se schiaccio qui?” fece il giovane medico.

“No, per niente..” rispose Alessandro.

Poi prese una penna che in realtà si dimostrò essere una sorta di piccola torcia luminosa e si mise a sventolargliela davanti agli occhi “segua questa luce con gli occhi per cortesia”.

“Ha mai fatto uso di droghe?”

“No” rispose secco, ma per un secondo esitò.

“Ha per caso dei genitori che hanno avuto forme di tumore?”

“No”

“Oltre alla mancanza del gusto e dell’olfatto, ha per caso avuto delle allucinazioni?”

“No” Alessandro aspettò un attimo prima di rispondere, pensò: i sogni appartengono alla categoria delle allucinazioni oppure no?

“Ci sarebbe una cosa che trovo strana…”

“Quale?” il giovane medico lo guardò per la prima volta negli occhi.

“E’ come se il mio corpo preferisse andare in una direzione..”

Il giovane medico si fece pensieroso, poi chiese “e quale sarebbe questa direzione?”

Alessandro fece qualche passo e poi indicò deciso verso la finestra, verso il Mont Boron.

“ah, bene..” disse il giovane medico.

“Bene, cosa?”

“No, dicevo così tanto per dire..” il giovane medico si sedette e inizio a scrivere sul suo computer.

“Si rivesta pure..”

Il giovane medico inforcò gli occhiali da miope elegante e iniziò a scrivere al computer.

Uno strano pop-up accese per un istante la sua attenzione.

“Dunque come ha detto che si chiama lei?”

“Alessandro Acquistapace”

“..ed è nato a..”

“Como l’8 agosto 1985”

Il giovane medico alzò lo sguardo e facendo una mezza smorfia ironica aggiunse “italiano…”

“Si, ma sono guarito” rispose Alessandro mostrandogli tutta la sua indifferenza su Patria, Dio e Famiglia.

Il giovane medico gli disse con estrema freddezza che poteva anche trattarsi di un tumore al cervello e che aveva deciso di tenerlo dentro un po’ per degli accertamenti.

Alessandro non fece una piega, poi una volta tornato in reparto, s’infilò in bagno a piangere.

La vita, soprattutto quella del giovane venticinquenne, non gli dispiaceva affatto. Aveva mollato l’università per il duro lavoro, ma i week-end che si poteva permetter con lo stipendio da operaio specializzato erano molto belli lo stesso.

Si caccio in branda con il volume del suo iPod al massimo.

Dalle cuffie uscivano i suoni balsamici di un brano di Nick Cave.

I pensieri di Alessandro, imbizzarriti gli rimandavano immagini scure cariche di finali tristi da film di quartordine.

..papa won’t leave you Henry…

Avrebbe raggiunto i suoi genitori un po’ in anticipo, pensò, e subito dopo si dolse del fatto che non poteva nemmeno gustarsi l’ultimo pasto del condannato a morte.

..papa won’t leave you boy..

Quella notte ebbe visioni di morte, ovviamente, ma non della sua. Vide una vecchia dai lunghi capelli bianchi, con solo due denti ancora in piedi, che implorava di non essere ammazzata vicino a un torrente. Vide il riflesso della vecchia nell’acqua del torrente diventare rosso. Poi, e l’immagine sembrò avere il potere di dargli un temporaneo sollievo al malessere delle altre visioni, iniziò a distinguere la figura di un piccolo paese arroccato sulla collina di fronte al mare.

Non conosceva quel paese, ma ne rimase incantato.

Le visioni del paese iniziarono ad arrivargli in pieno giorno, forti e nitide come i flash di uno che ha leccato acido un po’ troppo forte. Sembravano una serie interminabile di cartoline del solito posto, visto e preso da diverse angolazioni. Iniziò a riconoscere sullo sfondo del paese una sorta di promontorio imponente con un altro paese ai suoi piedi, direttamente sul mare.

Vide una via stretta su cui si affacciavano case alte dalle facciate in pietra. Scorse anche dei particolari delle stesse in cui saltavano fuori qua e là come una sorta di ferita, dei pezzi di archi acuti medievali.

“Pronto, stai bene?” la voce di Maria finalmente rispose al telefono. Alessandro aveva bisogno di sentire una voce amica. Sua zia, ammesso che lo fosse, non si era più fatta sentire da quando era entrato in ospedale. La sua ragazza ufficiale idem, ma per lavoro a volte spariva per un po’, quindi non c’era da stupirsi. Almeno, pensò, non avrebbe dovuto giustificare le macchie di mirtillo sulle sue mani.

A Maria raccontò tutto come un fiume che rompe gli argini. Le disse del problema e giusto per fare un po’ di terapia, le parlò anche dell’episodio della pietra. Non le parlò delle visioni e dei sogni perché non voleva sembrargli pazzo. O almeno pazzo del tutto.

Niente in confronto a quello che gli disse Maria. Maria gli disse che al ritorno dalla loro gita si era sentita strana e aveva deciso di andare da Madame Triora, una vecchia molto famosa in Valle Roja per le sue capacità medianiche. Alessandro ne aveva sentito parlare e i giudizi che le persone avevano di lei spaziavano da chi le credeva a chi la definiva una pazza a chi invece la considerava una truffatrice. Maria aveva raccontato tutto a Madame Triora, compreso il sogno del cavaliere. Nel suo racconto continuò a non fare cenno di questa cosa ad Alessandro. Va bene far la figura della superstiziosa, ma di ragazza malata di mente, in questo frangente, forse non sarebbe stato il massimo, pensò.

La vecchia, sentendo la storia, e interrogando gli spiriti, mise in guardia Maria. Il male stava tornando nella Valle e lei, Maria, “aveva sfiorato l’entità portatrice di questa nuova ondata di morte, dolore e lacrime”. Alessandro si sarebbe volentieri fatto delle risate se il racconto di Maria si fosse fermato qui, ma la ragazza con le lacrime agli occhi aggiunse che Madame Triora era stata massacrata poco dopo il loro incontro. Un cliente dopo di lei, l’ultimo della giornata, l’aveva trovata sparpagliata nel bosco a pochi passi dalla sua capanna e da Notre dame des Fontaines, la piccola Chiesa sulla strada verso la Bassa del Sansone. Chi l’aveva massacrata lo aveva fatto senza alcuna ispirazione precisa a parte la furia e la devastazione: la testa completamente staccata dal corpo era rimasta appesa per i lunghi capelli bianchi, intrisi di sangue, ad un arbusto fitto e spinoso di lamponi.

Alessandro ricordò il suo sogno della notte precedente e un sudore freddo incominciò a percorrergli la schiena.

Maria era stata interrogata a lungo dalla polizia in qualità di testimone e di potenziale indiziata. Le accuse erano comunque cadute quasi subito, vista la violenza e l’efferatezza del crimine, una ragazza da sola non poteva di certo essere stata. Oltre al fatto che tutti i clienti della Brasserie in cui lavorava l’avevano vista servire i tavoli nelle ore in cui probabilmente Madame Triora andava a incontrare i suoi informatori.

Alessandro cercò di rincuorarla, ma l’immagine del suo seno e del suo sesso lo portarono lontano per qualche interminabile secondo.

“Alessandro..mi senti, Alessandro..?”

“Sì, scusa ti sento, per un attimo è andata via la conversazione…”rispose recuperando a situazione Alessandro. Decise comunque di tentare: non siamo forse missili puntati sul piacere?

E cosi le chiese diretto “Portami quella cosa, Maria”. Lo disse con un tono di voce basso, osservando le reazioni dei suoi compagni di stanza. Il vecchio a fianco a lui, ruminava placido senza dargli la minima attenzione.

Dopo qualche secondo Maria rispose “In ospedale? Ma sei sicuro?”.

“Si, incomincio ad averne bisogno, portami quella cosa ti prego, c’inventeremo qualcosa..abbiamo entrambi bisogno di pensare ad altro..” Alessandro tentò la carta del bene comune e attese. Un vecchio nel letto di fronte a lui lo fissò con un’espressione da reprimenda. Alessandro gli mandò una serie di baci ravvicinati che lo costrinsero a distogliere lo sguardo.

“Va bene, domani sarò lì da te..ciao” la sventurata rispose.

Alessandro sentì un certo sollievo: l’idea di vedere Maria lo tirò su. Soprattutto il fatto di poter ricevere da lei “la cosa”, il codice che usavano per fissarsi un appuntamento in cui poter fare sesso. Lo avevano stabilito per evitare problemi con Christine, anche se poi non lo avevano quasi mai usato se non per scherzo. Effettivamente si dissero, tra dire portami una cosa e facciamo sesso non c’era poi tutta questa differenza nel caso la tua ragazza o il tuo ragazzo avesse intercettato il messaggio. Ma in questo contesto, in cui non voleva far sapere a tutti i presenti le sue intenzioni, era di fatto stato molto utile. Il vecchio di fronte però, sembrò forse aver compreso la cosa e per un istante si passo una mano sulle parti basse.

Alessandro si sentì meglio per un attimo, poi si ricordò di avere una buona probabilità di morire da lì a breve e tutta l’allegria si sfasciò come un palazzo demolito con l’esplosivo.

Quattro colpi forti dall’armadio in sala, nella sua casa con vista mare e infinito a due passi da Aristide, riportano Alessandro nel presente e a kilometri e kilometri dal suo ricordo.

Posa la chitarra e fa “chi è?”

“Lo squalo batanga!”

Per un attimo Alessandro ha un deja-vu. Ma non riesce a mettere a fuoco. Ha riconosciuto la voce e quindi apre l’armadio.

Billi lo guarda da quello che sembra l’interno di un piccolo ascensore moderno. Ha spostato gli omini carichi di camice e pantaloni di Alessandro e con un gesto lo invita a infilarsi nell’armadio.

“Che c’è..non potevi passare dalla porta?”

“E’ sparito il nuovo arrivato, meglio fare le cose al coperto..”

“Mi metto le scarpe e arrivo” fa Alessandro.

“Ti aspetto..”

Alessandro prende i suoi Doc Martens e parecchi giri di stringa e bestemmie (pensate) si rimette in piedi. Sposta le camice e i pantaloni appesi nell’armadio sino a vedere la cabina nascosta dell’ascensore.

Billi fischietta un brano qualunque. Forse un pezzo degli U2.

Che banale pensa Alessandro.

“Dovremmo metterci della musichetta di cortesia in questi ascensori, eh?!” dice Billi, schiacciando un tasto rosso con il simbolo della luna. La porta si chiude e i due sentono i propri corpi provare ad opporsi a una rapida discesa.

Alessandro annuisce poi fa “ma la musica la scelgo io se permetti..”

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Quando muore Billi?

Anonimo ha detto...

Cos'è il Marcatore di Histefano?

Anonimo ha detto...

Sono Billi..fatti i c@zzi tuoi!